Honduras: Miriam Miranda: “Parlare di Berta vuol dire parlare delle lotte che ci aspettano”
L’eredità che ha lasciato al mondo
Tegucigalpa, 25 settembre (Rel-UITA | LINyM) -.
Il pensiero politico e l’eredità di Berta Cáceres sono stati gli argomenti al centro dell’incontro “No se agüiten, compas”, organizzato dalla RNDDHH1 e realizzato nell’ambito delle attività che hanno accompagnato l’inizio del processo contro gli imputati per l’omicidio della dirigente indigena lenca.
Miriam Miranda, coordinatrice di Ofraneh2, ha conversato con La Rel su questo momento così importante.
-In che contesto si svolge il processo?
-È un contesto ostile che rende complicata la ricerca della verità. Non dobbiamo dimenticare che subito dopo l’omicidio di Berta, lo Stato ha promosso una strategia per nascondere il vero motivo del crimine. Inoltre ha ordito una trama con l’evidente intenzione di distorcere la figura e il pensiero di Berta.
Non vogliono che si sappia che Berta è stata uccisa per il lavoro e le lotte portate avanti, insieme al Copinh3, per la difesa della terra e dei beni comuni, per i diritti dei popoli indigeni e contro il modello neoliberista, razzista e patriarcale che sviluppa progetti di morte.
Per questa ragione sul banco degli imputati non ci sono gli autori intellettuali del crimine, quelli che cioè hanno ordito e finanziato l’omicidio. Non hanno nemmeno accettato che il Copinh partecipasse come parte offesa, nè che i membri della famiglia Atala Zablah-4 fossero citati come testimoni del processo.
Per questa ragione, il pubblico ministero si è rifiutato un’infinità di volte di mettere a disposizione delle parti tutte le informazioni e le prove raccolte.
Lo Stato è complice e non c’è volontà politica di arrivare alla verità. Non ha nemmeno avuto la decenza di chiudere una volta per tutte il progetto idroelettrico Agua Zarca, che è la causa del conflitto che ha portato all’omicidio di Berta.
-C’è un clima molto ostile nei confronti di chi difende la terra e i beni comuni.
-Esatto. E questo va oltre il caso di Berta. In Honduras esiste una chiara volontà di difendere a tutti i costi un modello che saccheggia e depreda. Chi si oppone lo fa a suo rischio e pericolo.
Ci stigmatizzano, ci criminalizzano, ci minacciano e ci assassinano. Dicono che siamo contro lo sviluppo, che siamo dei vandali, dei criminali, dei terroristi. E intanto infuria la repressione con nuove espropriazioni e lo sfollamento di intere comunità che lottano contro le miniere, i progetti energetici e l’espansione della palma africana.
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