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Honduras-Violenza strutturale contro le donne

Honduras –Violenza strutturale contro le donne

Ogni 18 ore una donna muore in modo violento
Nuovo rapporto mostra assenza delle istituzioni

Tegucigalpa, 28 maggio (Rel-UITA | LINyM) -.

“Tutte le morti violente e gli infiniti casi di violenza sessuale, violenza domestica e intrafamigliare che le donne honduregne sono costrette a subire hanno cause sociali e strutturali, in quanto lo Stato non fa quasi nulla per garantire loro il diritto a una vita senza violenza”, conclude il rapporto “Violenza contro le donne 2017-2018” del Centro dei diritti delle donne, Cdm.

Malgrado l’approvazione di meccanismi e di strumenti normativi a tutela dei diritti delle donne, tra cui la creazione di procure speciali, le donne non usufruiscono di un’istituzionalità funzionale ed efficace che le difenda e le protegga, spiega il Cdm.

L’inerzia delle autorità e la mancanza di misure di protezione a favore delle donne creano impunità. Per questa ragione la stragrande maggioranza degli uomini che stuprano, uccidono, sequestrano e commettono altri delitti contro le donne non vengono puniti.

La militarizzazione dei territori e della pubblica sicurezza contribuiscono ulteriormente ad acutizzare la repressione contro la popolazione, in particolare contro le donne.

Femminicidi in aumento

Il rapporto del Cdm segnala che l’Honduras continua a essere uno dei paesi latinoamericani con il più alto tasso di femminicidi. Ogni 18 ore una donna muore in modo violento. El Salvador, Honduras e il Guatemala sono i paesi con il più alto tasso di morti violente di donne in America Centrale.

Negli ultimi diciotto anni, 6.256 donne sono state assassinate in Honduras, il 76% (4.742) dopo il colpo di Stato del 2009. Una media quindi di 474 donne assassinate all’anno e più del 90% di casi che restano impuniti.

Secondo l’Osservatorio dei diritti delle donne del Cdm, in base a dati pubblicati dalla polizia, da medicina legale e dall’Istituto universitario democrazia pace e sicurezza (Iudpas) dell’Università nazionale autonoma dell’Honduras, negli anni 2017 e 2018 sono state assassinate rispettivamente 388 e 380 donne.
Quasi il 50% aveva un’età inferiore ai 30 anni e il 56% è stato assassinato con armi da fuoco. Un dato questo che indica non solo presenza, ma anche aumento dei casi di accanimento e misoginia.

Il Centro dei diritti delle donne segnala inoltre la tendenza da parte delle istituzioni a non riportare i femminicidi secondo quanto dispone il codice penale, preferendo invece catalogarli come omicidi. Secondo i dati ufficiali della Procura, nel 2017 ci sarebbero stati 10 femminicidi e solamente 2 nel 2018.

Le morti non diminuiscono

Nonostate si osservi una diminuzioni delle morti (526) a partire del 2014, il Cdm spiega che questa tendenza potrebbe dipendere da una progressiva limitazione dell’accesso alle informazioni pubbliche durante i due governi di Juan Orlando Hernández (dal 2014 a oggi).
“Hanno approvato la legge sul segreto d’ufficio [1], hanno modificato i protocolli per accedere alle informazioni pubbliche e hanno creato il sistema statistico della polizia in linea (Sepol). Inoltre, nel 2014 hanno proibito per oltre un anno la diffusioni di dati ufficiali sugli omicidi. Quando nel 2015 hanno finalmente pubblicato i nuovi dati, la tassa degli omicidi in Honduras era improvvisamente  (e magicamente ndr) diminuita”, rileva il rapporto.
L’organizzazione schierata in difesa dei diritti delle donne e contro ogni tipo di violenza di genere assicura che non esiste una diminuzione significativa dei dati sugli omicidi delle donne.

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Honduras-Alzare la voce contro la mancanza di uguaglianza, la discriminazione e l’impunità

Honduras-Alzare la voce contro la mancanza di uguaglianza, la discriminazione e l’impunità
La difficile situazione della comunità LGBTI in Honduras
Tegucigalpa, 20 maggio (Rel-UITA | LINyM) -.
Il 17 maggio, giornata mondiale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia, migliaia di honduregni e honduregne sono scesi in piazza per esigere alle istituzioni e alla società in generale il rispetto dei loro diritti fondamentali e per condannare lo stigma e la discriminazione.

Il colpo di stato del 2009 ha segnato l’inizio di una vera offensiva contro la comunità Lgbti.
Secondo i dati raccolti da varie organizzazioni, negli ultimi 10 anni in Honduras sono stati commessi almeno 313 omicidi riconducibili alla persecuzione in base all’orientamento sessuale.
L’azione penale ha portato a 67 arresti e a solo 20 condanne.
L’impunità supera quindi il 96% dei casi [1]. Infiniti i casi di persecuzione, aggresione e bullying.

Il 17 maggio, la comunità Lgbti ha denunciato di essere vittima di violenza strutturale e ha condannato la totale assenza dello Stato.

“Il quadro normativo vigente non permette ancora ai cittadini Lgbti di godere pienamente dei diritti fondamentali. Non esistono ancora politiche pubbliche che garantiscano l’accesso all’istruzione, alla salute e al lavoro a parità di trattamento”, ha detto José Zambrano, membro della Apuvimeh [2].

Per ciò che riguarda l’Hiv|Aids, la situazione in Honduras rimane allarmante. Stigmatizzazione e discriminazione la fanno ancora da padroni.

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Honduras-Ancora una volta si è scatenata la bestia

Honduras: Ancora una volta si è scatenata la bestia
I ‘gorilla’ reprimono la protesta contro la privatizzazione della sanità e l’istruzione.
Arresti e feriti nella capitale e in altre città

Tegucigalpa, 2 maggio (LINyM)

Ancora una volta in Honduras si è scatenata la bestia. L’abbiamo visto tante volte negli ultimi dieci anni, dopo il colpo di stato e la rottura dell’ordine costituzionale e democratico.

L’abbiamo visto mentre massacrano i contadini nel Bajo Aguán, mentre attaccano e uccidono le popolazioni indigene e nere, mentre reprimono gli studenti e gli insegnanti, mentre criminalizzano la diversità sessuale.

L’abbiamo visto mentre le mani assassine, armate dal grande capitale colluso con la politica corrotta, ammazzavano Berta senza pietà.

L’abbiamo visto durante l’inesorabile offensiva estrattivista che criminalizza, mette sotto processo e reprime fisicamente la protesta sociale e popolare.

L’abbiamo visto sul volto di ogni donna vittima di violenza e femminicidio, sul volto di famiglie intere in fuga dalla violenza, la povertà e la mancanza di opportunità.

L’abbiamo visto negli occhi di lavoratori e lavoratrici sfruttate, di bambini, bambine e giovani oltraggiati, nello sguardo indomito di difensori della terra e dei beni comuni, assediati, traditi, assassinati.

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Costa Rica

Costa Rica Né pacifica, né verde

Criminalizzazione della protesta e uso indiscriminato di agroveleni

San José, 26 aprile (Rel-UITA | LINyM) -.
Nell’immaginario collettivo la Costa Rica è percepita come un “paese di pace” e un “paese verde”, in realtà si tratta di un’ottima strategia di marketing che serve a nascondere una realtà impresentabile che contraddice l’immagine patinata che si offre al mondo. Una realtà che, lungi dall’essere paradisiaca, è invece impregnata di sangue, pesticidi e distruzione ambientale.

Secondo dati forniti dal movimento ecologista, in quasi 40 anni (1970-2019) si sono registrati almeno 26 omicidi di persone vincolate alla lotta in difesa della terra e dei beni comuni. Il crimine più recente è stato perpetrato da sconosciuti lo scorso marzo contro il dirigente indigeno e difensore dei territori del popolo Bribri, Sergio Rojas Ortíz.

La Costa Rica vanta anche il record mondiale nel consumo di pesticidi per ettaro (18,2kg/Ha).

Secondo quanto riporta il Servizio fitosanitario dello Stato, durante il 2017 sono stati importati 18,6 milioni di chilogrammi di principi attivi, una tonnellata in più dell’anno precedente.La Federazione per la conservazione della natura, Fecon, assicura che tale primato sia collegato all’entrata in vigore dei polemici decreti esecutivi 39995-MAG e 40059-MAG, attualmente in fase di impugnazione presso la Corte Costituzionale [1].“La Costa Rica sa vendere molto bene la propria immagine di paese ‘democratico’ e ‘conservazionista’. É completamente immersa nella cosiddetta ‘economia verde’ e si propone come laboratorio climatico. Non a caso tra ottobre e dicembre organizzerà, insieme al Cile, la COP 25 [2]”, dice Henry Picado, presidente della Fecon.

La realtà è però molto diversa.

In Costa Rica l’agrobusiness è politica di Stato. Le imprese che promuovono le monoculture (banane, ananas, canna da zucchero, palma africana) hanno accesso a una quantità infinita di sussidi, esenzioni e agevolazioni fiscali.

“Abbiamo il caso della Pineapple Development Corporation – Del Monte (Pindeco) che ha ricevuto quasi 3.400 milioni di colones (5,7 milioni di dollari), cioè in pratica quasi il 10% del totale dei sussidi concessi al settore agroesportatore”, ci spiega Picado.

L’attivista ecologista ha ricordato che il risultato di queste politiche è sempre lo stesso: l’allontanamento delle popolazioni locali, l’accaparramento delle terre, la devastazione ambientale, il tutto occultato grazie al circo dell’economia verde.

La repressione della protesta

Contestare il sistema neoliberista, il modello estrattivista e l’agrobusiness è pericoloso.

L’esempio più brutale è il recente omicidio di Sergio Rojas Ortiz, reo di avere sollevato con forza e decisione la questione della difesa legale e legittima delle terre ancestrali Bribri.

“Tutti sanno che dietro il vile omicidio di Sergio ci sono i proprietari terrieri. Bisogna identificare e punire gli autori intellettuali e materiali di questo crimine. Non può rimanere impunito, come sempre accade qui”, dice Picado.

Fino a oggi nessuno degli omicidi perpetrati contro difensori della terra e dei beni comuni è stato chiarito. Tutti sono rimasti impuniti. Movimenti contadini e popolazioni indigene sono i principali bersagli di una repressione che diventa ogni giorno più cruenta, grazie anche al disinteresse e all’inerzia delle autorità.

Altri attori sociali, come il movimento LGBT e chi porta avanti rivendicazioni particolarmente fastidiose al progetto neoliberista, sono anch’essi vittime della criminalizzazione e repressione.

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Nicaragua-Mons. Silvio Báez sarà trasferito a Roma

Nicaragua: Mons. Silvio Báez sarà trasferito a Roma
Nè minacce, nè esilio
Báez partirà dopo le festività pasquali
Managua, 13 aprile (LINyM) -.
La decisione del Vaticano di richiamare a Roma il vescovo ausiliare di Managua monsignor Silvio Báez è arrivata all’improvviso a sconquassare i piani dell’opposizione nicaraguense, ma non si può certo dire che non fosse nell’aria.

Per nessuno è un segreto che all’interno della CEN (Conferenza episcopale nicaraguense) ci siano anime e visioni diverse circa quanto è accaduto a partire da aprile 2018 e il modo per uscire dalla crisi politica e sociale in cui è sprofondato il Nicaragua.

All’interno dell’assemblea permanente dei vescovi nicaraguensi spiccano tre figure che incarnano l’anima più conservatrice e profondamente antisandinista: Abelardo Mata vescovo di Estelí, Rolando Álvarez vescovo di Matagalpa e per l’appunto Silvio Báez.

I tre hanno giocato un ruolo determinante durante il primo e fallimentare tentativo di dialogo dello scorso anno, schierandosi apertamente a favore di una delle due parti sedute al tavolo – l’Allenza civica per la giustizia e la democrazia (Acjd) – e difendendo a spada tratta le barricate (tranques) sorte un po’ in tutto il Paese come strumento di pressione contro il governo. Uno strumento diventato ben presto fonte e luogo di violenza, ricatto e morte.

Non si può nemmeno dimenticare che in quei giorni Báez e il resto della CEN cercarono in tutti i modi di costringere il governo ad accettare una ‘tabella di marcia’ totalmente incostituzionale, che prevedeva, tra l’altro, la rinuncia immediata del governo e di tutte le cariche dello Stato,  la nomina di un non ben definito ‘governo di transizione’, la convocazione di un’assemblea costituente ed elezioni generali entro il 2018.

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Nicaragua-Comincia a crollare il castello delle menzogne

Comincia a crollare il castello delle menzogne

Opposizione sospende nuovamente la negoziazione

Managua, 6 aprile (LINyM) -.

Dopo avere confrontato i dati forniti dal governo e dall’opposizione, il Comitato internazionale della Croce Rossa, Cicr, presenterà la lista definitiva delle persone private di libertà all’interno della crisi politico-sociale iniziata in aprile dello scorso anno in Nicaragua.

La Croce Rossa ha fissato in 290 il numero di persone arrestate, piú della metà delle quali (200) già beneficiate da misure alternative alla detenzione.

Un dato che evidenzia, se mai ce ne fosse ancora bisogno, la montagna di menzogne diffuse da settori dell’opposizione che fanno parte dell’Alleanza civica per la giustizia e la democrazia, Acjd, e dell’Unità nazionale blu e bianca, Unab, avallate e fatte proprie, tra l’altro, da organizzazioni per i diritti umani nazionali e internazionali.

Secondo i rapporti ufficiali, comunicati stampa e una feroce campagna mediatica con cui hanno saturato i social e i media che si autodenominano indipendenti, in Nicaragua ci sarebbero tra i 600 e i 900 “prigionieri politici” e circa 1000 persone scomparse, soprattutto studenti.

Cifre e dati falsi che sono stati poi usati per lanciare campagne internazionali e per chiedere nuove e più forti sanzioni politiche ed economiche contro il paese. Qualsiasi confronto con quanto accade in Venezuela non è certo azzardato.

Il giorno in cui l’opposizione e le organizzazione nazionali e internazionali che “difendono i diritti umani” accettassero – come gli è stato ripetutamente proposto – di confrontare le proprie lista di persone decedute durante gli scontri con quella della Commissione parlamentare per la verità giustizia e pace (https://www.peacelink.it/latina/a/46142.html), il castello di menzogne ​​crollerebbe miseramente.

Logica distruttiva

Purtroppo, i settori più radicali dell’opposizione continuano a imporre la loro logica distruttiva, creando ancora una volta le condizioni per interrompere il dialogo e mostrando totale mancanza di volontà politica per trovare una soluzione pacifica alla crisi.

Il 3 aprile, infatti, un’opposizione che oramai rappresenta solo sé stessa – chi l’ha nominata e per conto di chi parla e prendeo decisioni i cui effetti ricadranno su tutta la società? – ha sospeso il dialogo con il governo e ha preferito preparare un nuovo “circo mediatico” chiedendo a suoi sostenitori di scendere in piazza.

Uno scenario, quello nicaraguense, in cui per fortuna c’è sempre meno spazio per le menzogne e dove emerge con forza la solitudine e l’inconsistenza di un’opposizione che sopravvive solo grazie a una comunità internazionale USA-dipendente.

Ci sono ancora dubbi sul perché non permetteranno mai che il dialogo sortisca risultati positivi?

Fonte LINyM

Di Giorgio Trucchi

 

 

Honduras – Le rivoluzioni di Berta

Le rivoluzioni di Berta

Un libro sul Copinh, su Berta e sull’esigenza di giustizia

(A  breve in italiano)

La Esperanza (21 marzo) 

Il terzo anniversario della siembra di Berta Cáceres e il Centro di incontri e amicizia “Utopia” del Copinh sono stati lo scenario ideale per la presentazione in Honduras del libro “Las Revoluciones de Berta”. La Rel ha intervistato in esclusiva l’autrice Claudia Korol, attivista femminista, scrittrice e amica di Berta.

– Come nasce l’idea di questo libro?

– È una cosa di cui avevo parlato con Berta. Avevamo deciso di raccontare la storia del Copinh [1] attraverso i suoi occhi, il suo vissuto, affinché non fosse solamente un dialogo o un’intervista; lei è stata una delle menti politiche più fervide e multidimensionali del continente latinoamericano.

Avevamo registrato delle cose, le avevamo messe per iscritto, corrette, però i tempi si stavano allungando. Berta era sempre impegnata in mille cose, mille attività, era sempre ‘en revolución’.

Dopo il suo omicidio mi è costato molto capire in che modo si potesse portare avanti il progetto. Inoltre non era facile per me rivedere le cose che avevamo scritto insieme, ascoltare la sua voce nelle registrazioni.

Per un po’ di tempo non sono riuscita ad andare avanti, poi un giorno mi è venuta l’idea che Bertita e Laurita, le figlie di Berta, potevano partecipare al libro raccontando quanto stava accadendo nel processo (contro gli imputati dell’omicidio ndr) e descrivendo gli ostacoli incontrati per ottenere giustizia.

Era anche un momento molto difficile. Gli attacchi per screditare la figura di Berta e quella del Copinh erano sempre più frequenti e aggressivi. Attraverso campagne mediatiche e menzogne costruite ad arte volevano distruggerne il ricordo, scavare un solco sempre più profondo tra lei, la sua gente, i movimenti sociali e popolari, i popoli del mondo. In quel momento capimmo che eravamo andati oltre l’obiettivo iniziale del libro e che era giunto il momento di pubblicarlo. Non si trattava più solamente di mettere a fuoco il suo pensiero politico, ma anche di far conoscere chi fosse Berta: una donna libera, rivoluzionaria e, per molte di noi, una carissima amica.

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Nicaragua L’opposizione del «tutto o niente»

Nicaragua L’opposizione del «tutto o niente»
Alleanza Civica prima lascia poi si risiede al tavolo. Gli irriducibili del caos si chiamano fuori e chiedono nuove e più forti sanzioni internazionali

Managua, 14 marzo (LINyM)

Domenica scorsa, l’Alleanza civica per la giustizia e la democrazia, Acjd, autodenominatasi rappresentante di diversi settori della società nicaraguense, ha annunciato l’abbandono del tavolo di negoziazione fino a quando il governo non manderà segnali convincenti “di volere davvero trovare una soluzione alla crisi” iniziata nel 2018.

Per l’opposizione questo significa la liberazione dei “prigionieri politici”, fine della repressione e dei sequestri, osservanza e rispetto degli standard internazionali relativi al trattamento dei detenuti e fine delle minacce ai loro parenti.

L’annuncio è arrivato meno di 24 ore dopo quello della Conferenza episcopale del Nicaragua di respingere l’invito fatto dal governo e dall’opposizione al cardinale Leopoldo Brenes, di accompagnare la negoziazione insieme al nunzio apostolico Waldemar Stanislaw Sommertag e a un rappresentante della chiesa evangelica.

Il ruolo della gerarchia cattolica

In un comunicato, la gerarchia cattolica nicaraguense chiarisce che “dovranno essere i laici ad assumersi direttamente la responsabilità di gestire in questo momento le questioni temporali della nazione”.

Una decisione che, lungi dal significare la volontà dei vescovi di non prendere parte al negoziato per accompagnare “come pastori questi momenti cruciali della nostra patria”, dedicandosi “alla preghiera e al ministero della Parola”, sembra più che altro nascondere la loro irritazione per non essere stati riconfermati nel ruolo di mediatori, ricoperto lo scorso anno nell’ambito del primo disastroso tentativo di dialogo.

In quell’occasione, i vescovi si schierarono apertamente a favore di una delle due parti -l’Alleanza Civica- e cercarono in tutti i modi di imporre al governo una road map pericolosamente inconstituzionale, stravolgendo di fatto l’essenza e i principi di neutralità e imparzialità che caratterizzano il ruolo di un mediatore.

Si schierarono inoltre a favore delle barricate (tranques) costruite in tutto il paese dall’opposizione come misura di pressione contro il governo. Uno ‘strumento’ che divenne ben presto fonte e luogo di violenza, ricatto e morte.

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Honduras La ‘siembra’ di Berta continua a generare semi di libertà

La ‘siembra’ di Berta continua a generare semi di libertà

Tre anni dopo il suo assassinio, Berta Cáceres vive nelle lotte emancipatorie dei popoli

Di Giorgio Trucchi | Rel-UITA
Sono passati tre anni da quella dolorosa notte in cui un commando omicida ci ha portato via Berta.

Sono passati tre anni e il mondo continua a chiedere, a esigere giustizia e la cattura dei mandanti dell’omicidio.

Sono passati tre anni e Berta, il suo lascito, il suo pensiero politico, la sua integrità e coerenza, la sua visione sull’importanza di ampliare la lotta anti-patriarcale, antirazzista, anticapitalista e antimperialista continua a ispirare nuove e vecchie generazioni.

Ci spinge a perdere la paura, a camminare con la gente, a difendere i territori, a contrastare un modello predatorio che saccheggia i beni comuni e criminalizza, processa e assassina chi li difende.

Lo scorso 3 marzo, dopo una lunga giornata di convivenza e incontro per approfondire il pensiero e la lotta di Berta, delegati dei popoli dell’Honduras, membri di organizzazioni sociali e popolari, studenti, amici, alleati nazionali e internazionali del Consiglio civico delle organizzazioni popolari e indigene dell’Honduras (Copinh), hanno camminato per le strade di La Esperanza, urlando all’unisono “Berta vive, la lucha sigue”.

Qui sotto foto, video e voci di e su queste giornate.

Gallerie di foto:

La siembra de Berta sigue generando semillas de libertad

Berta está en cada lucha acompañando a los pueblos del mundo

Video:

A tres años de la siembra de Berta

Radio Cooperativa di Padova (ascolta la trasmissione da Tegucigalpa)

A tre anni dall’omicidio di Berta Cáceres

©  di Giorgio Trucchi – Lista Informativa Nicaragua y Más (LINyM)

 

 

Venezuela. Un cattivo esempio da cancellare dalla faccia della terra

Venezuela
Un cattivo esempio da cancellare dalla faccia della terra
Il riposizionamento politico e militare degli Usa in America latina e i ‘governi fantoccio’

Managua, 21 febbraio (ALAI | LINyM) -.

L’offensiva imperialista contro il Venezuela ha come scopo quello di porre fine, una volta per tutte, a un modello basato sulla solidarietà, l’indipendenza e l’autodeterminazione dei popoli, e che aspira all’unità e all’integrazione latinoamericana e caraibica. Un modello che, quindi, per sua stessa natura, lede gli interessi degli Stati Uniti, delle oligarchie nazionali e del capitalismo internazionale.

“Impossibile equivocarsi”, assicura lo storico honduregno Edgar Soriano. “La crisi del Venezuela è il risultato di un’ingerenza sfacciata del governo degli Stati Uniti, della destra internazionale e dei poteri corporativi – incluso quelli europei – che si sentono minacciati nei loro interessi da un progetto politico e istituzionale che non prevede solo la ridistribuzione di risorse, ma anche la difesa degli interessi sociali della collettività e la generazione di meccanismi di partecipazione e legittimazione dei cittadini.

Un progetto che cerca di modificare l’ordine costituito e si propone di costruire nuove forme di fare politica, limitando la capacità di intervento di Washington e delle multinazionali negli interessi interni dei paesi. Un progetto, inoltre, che si può esportare e replicare.

 Dopo la caduta del Muro di Berlino e le invasioni in Afghanistan e Iraq – continua Soriano -, gli Stati Uniti si sentivano i padroni del mondo, ma le nuove leadership sorte a livello mondiale stanno cambiando gli scenari internazionali, con un crescente multipolarismo e una forte proiezione della cooperazione Sud-Sud.

Malgrado ciò, Washington si ostina a mantenere relazioni di aggressione e l’offensiva contro il governo venezuelano e i suoi alleati è parte di questa logica di controllo del “cortile di casa”.

– In pratica bisogna farla finita con i cattivi esempi

– La proposta del Venezuela è un cattivo esempio sia per il progetto imperialista nordamericano che per la destra latinoamericana perché, come ho detto, coinvolge le persone e offre loro strumenti e capacità per costruire modelli alternativi replicabili in tutto il continente.

L’America latina ha grandi possibilità ed esistono già le condizioni per una maggiore indipendenza dalle potenze imperialiste e dalla multinazionali. Questo è quello che dà loro maggior fastidio. Non sopportano che esista un paese come il Venezuela che dica “abbiamo la nostra moneta e vogliamo ricostruire con altri criteri lo scenario delle relazioni politiche, sociali e commerciali”.

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