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CONTINUA LA RACCOLTA FIRME DELL’ASSOCIAZIONE NAZIONALE DI AMICIZIA ITALIIA-CUBA, CONTRO IL CRIMINALE BLOCCO DEGLI STATI UNITI CONTRO L’ISOLA. NEL MESE DI MAGGIO CUBA PRESENTERA’ UNA RISOLUZIONE DI CONDANNA  ALL’ASSEMBLEA GENERALE DELLE NAZIONI UNITE….

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Honduras: Sentenza Berta Cáceres

Sentenza Berta Cáceres, un primo passo sulla strada della giustizia
Condanne tra i 30 e i 50 anni per gli autori materiali

Tegucigalpa, 3 dicembre (LINyM) -.

Il 2 dicembre, trascorsi esattamente 45 mesi dall’assassinio  della dirigente indigena di etnia lenca Berta Cáceres, il Tribunale di prima istanza ha disposto condanne dai 30 ai 50 anni di carcere per gli autori materiali del crimine. Un primo passo sulla strada, ancora molto lunga, della giustizia.

I sette accusati erano stati dichiarati colpevoli il 29 novembre 2018, ma i giudici ci hanno messo un anno esatto a depositare la sentenza scritta con le relative pene. Un ritardo ingiustificabile che ha causato scompiglio e preoccupazione ai familiari della Cáceres, nonché insicurezza giuridica e un inaccettabile ritardo nelle indagini sui mandanti dell’omicidio.

I giudici hanno condannato Sergio Rodríguez, direttore ambientale dell’azienda Desarrollos Energéticos SA, Desa, e Douglas Bustillo, ex sergente dell’esercito ed ex vice responsabile della sicurezza di Desa, a 30 anni e 6 mesi di prigione. Per Mariano Díaz, maggiore delle Forze armate honduregne, la pena è stata di 30 anni.

Nel caso degli altri quattro imputati, alla pena per l’assassinio di Berta Cáceres si aggiunge quella per il tentato omicidio di Gustavo Castro, l’ecologista messicano sopravvissuto all’attacco mortale e unico testimone del crimine. Henry Hernández, anch’egli ex militare, Edilson Duarte, Elvin Rápalo e Oscar Torres, sono stati condannati a 50 anni e 4 mesi di prigione.

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Solidarietà  dalla Svizzera con América Latina in resistenza

Manifestazione a Berna

Solidarietà  dalla Svizzera con América Latina in resistenza
Sabato 30 novembre 2019
Foto di Sergio Ferrari,  Berna
“Contro le ingerenze”
“Per la sovranità e pace”

“In America Latina, si respira lotta”, sono stati alcuni degli slogan evocati sabato 30 novembre da numerosi residenti latinoamericani e della solidarietà svizzera.

Hanno  partecipato alla manifestazione  bernese convocata da ALBA Svizzera:  Asociación Suiza-Cuba; La-os Argentina-os para la Victoria, provincia 25; el Colectivo de chilenos del Ticino y sus compatriotas Residentes en Ginebra; el Comité Bolivariano de Suiza; representantes de la Revolución Ciudadana del Ecuador; diversos comités de Solidaridad con Nicaragua y El Salvador; varias organizaciones de colombianos solidarios (entre los cuales Asolatino, AIPAZCOMUN etc. ); el movimiento por  Bolivia me mueEVO; el Comité Lula Libre; la Defensoría Internacional por el Derecho de los Pueblos (DIDEPU) y el Partido Suizo del Trabajo (POP), tra gli altri.

Comunicato Stampa

(https://drive.google.com/file/d/1LOfotFrm7CBSxRj7_VPbInxNEBH1JAy9/view)

America Latina-Fronte comune contro imperialismo e colpi di stato

America Latina

Fronte comune contro imperialismo e colpi di stato

Più di 1300 persone riunite per condividere esperienze, coordinare lotte,
promuovere unità nella diversità. Intanto in Bolivia si consuma un nuovo golpe e inizia il massacro

Incontro antimperialista a La Avana (foto cubainformacion.tv)

Managua, 16 novembre (Altrenotizie | LINyM) 

Dal 1° al 3 novembre a L’Avana, Cuba, si è svolto l’incontro di solidarietà antimperialista, per la democrazia e contro il neoliberismo. Per tre giorni, più di 1300 delegate e delegati di 789 organizzazioni, movimenti, reti, piattaforme, comitati,  partiti politici, provenienti da tutti gli angoli del mondo (86 paesi rappresentati), si sono incontrati per discutere, dibattere, condividere esperienze, coordinare lotte, nello sforzo, non sempre facile, di realizzare unità d’azione.

“Stiamo vivendo un nuovo momento storico. La gente alle urne, per le strade e sui social network mostra, con il suo voto e le sue proteste, l’esaurimento dell’offensiva imperialista, conservatrice e della restaurazione neoliberista della destra oligarchica che, in collaborazione con il  fondamentalismo religioso, il potere dei media, il gran capitale e le imprese multinazionali, mano nella mano con l’imperialismo statunitense, nella sua natura predatoria, esclude ampi settori della popolazione, distruggendo il lavoro dignitoso, la vita in armonia con la natura e mette in pericolo la specie umana”, segnala con forza la documento finale dell’incontro.

Temi del dibattito

Sei sono stati i temi intorno ai quali è stata articolata la discussione e si è delineata la futura agenda continentale: solidarietà con Cuba e altre cause giuste; i popoli di fronte al libero commercio e alle multinazionali; decolonizzazione, guerra culturale, comunicazione strategica e lotta sociale; i giovani; democrazia, sovranità e anti-imperialismo; integrazione, identità e lotte comuni nella Patria Grande.

“L’incontro è parte di un processo di costruzione collettiva che è nato nel 2015 e che coinvolge diversi soggetti, con l’obiettivo di unire analisi, ed esperienze di lotta, portando alla creazione di uno spazio che noi chiamiamo Giornata continentale per la democrazia e contro il neoliberismo”, spiega Martha Flores, coordinatrice di Jubileo Sur/Americhe.

Due anni dopo (2017) si organizzò un altro incontro continentale a Montevideo, dove sono stati ripresi diversi punti del programma comune e si è andati avanti nell’articolazione.

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America Latina-Bolivia, il golpe etnico

America Latina-Bolivia, il golpe etnico
Managua, 13 novembre (Altrenotizie)

Evo Morales è giunto in Messico a bordo di un aereo militare inviatogli da Andrés Manuel López Obrador. Perù ed Ecuador hanno negato il diritto di sorvolo all’aereo messicano e la cialtronata rende bene l’idea di cosa siano i governi di Lima e Quito. Evo è stato costretto all’esilio per fermare la caccia all’uomo che i golpisti avevano previsto, che sarebbe terminata solo con la morte del presidente legittimo della Bolivia e del suo vice, Álvaro García Linera.

La stampa ufficiale e i suoi megafoni europei parlano di dimissioni, ma tra dimettersi ed essere costretto a dimettersi c’è una differenza che si chiama Colpo di Stato. E quello avvenuto in Bolivia è, semplicemente, indiscutibilmente, un colpo di Stato. Solo che chiamarlo con il suo nome otterrebbe una condanna da parte di tutti, anche di quelli che ora si fregano le mani, quindi è gara aperta per i possibili eufemismi con cui definire quanto accaduto.

Non c’è stata nessuna irregolarità nel conteggio dei voti alle elezioni, lo confermano esperti statunitensi. Ma hai voglia a contare voti, se il voto che decide è quello di un altro Paese. Hai voglia a districarti nelle maglie della Costituzione se viene violata. Hai voglia a pretendere che gli organismi internazionali svolgano il proprio ruolo se agiscono con lo strabismo dell’OSA che chiede il rispetto del mandato presidenziale in Ecuador, ma non in Bolivia. Stati Uniti e multinazionali degli idrocarburi ordinano il menù che camerieri locali in abiti civili e uniformi militari consegnano al tavolo.

Un presidente legittimo, che ha il 47% dei voti, è stato obbligato a dimettersi. La democrazia muore a La Paz e chi dovrebbe difenderla, militari e polizia, sono i primi a seppellirla insieme alla dignità delle loro divise. Le orde fasciste della destra boliviane sono state scatenate per diffondere il terrore con lo stesso identico copione utilizzato in Nicaragua nel 2018: persone prese, torturate, denudate ed umiliate obbligate al peggio; stupri, assassinii, case messe a ferro e fuoco, assalti alle istituzioni, spargimento del terrore in ogni dove. Perché quando il mandante è lo stesso il copione è identico.

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Resisti Bolivia

                                #EvoNoEstásSolo

L’Associazione Italia – Nicaragua condanna fermamente l’ennesimo tentativo golpista compiuto ai danni di una giunta di governo democraticamente eletta.

Dopo Venezuela e Nicaragua, in questi giorni è il momento della Bolivia.

Il voto del 27 ottobre ha sancito con chiarezza inequivocabile il successo di Evo Morales, con il 47% dei consensi. Una vittoria raggiunta al primo turno e immediatamente contestata dalla opposizione, guidata dal candidato sconfitto Carlos Mesa, come se non aspettasse altro che l’esito (quasi scontato) delle urne per attuare la ormai tristemente nota messinscena del rifiuto della volontà popolare. Una rappresentazione drammatica che ha visto seminare morte e terrore nelle strade di Caracas Managua e di molte altre città divenute preda dell’orda fascista e reazionaria. Un format eversivo creato e curato da Washington e distribuito generosamente a formazioni partiti e pseudo ONG alle loro dirette dipendenze. La volontà destabilizzatrice aggredisce qualsiasi esperienza politico-economica-culturale che tenti di uscire dalla morsa neoliberista e colonialista che soffoca il continente latinoamericano da secoli.

La violenta repressione in Cile a opera del governo di centrodestra di Sebastián Piñera e il voltafaccia ignobile di Lenín Moreno in Ecuador, solo per rimanere ai più recenti “esempi” di sottomissione totale alle sfacciate politiche d’ingerenza dell’amministrazione statunitense, esprimono fedelmente la strategia imperialista che non ha mai cessato di essere perseguita. A tutti i costi, anche con un saldo impressionante di vittime, di persecuzione e di devastazione.

Ad accompagnare questa triste e vergognosa pretesa di riproporre il modello liberticida che ha portato alle sanguinarie dittature militari dello scorso secolo, il protagonismo mediatico di colossi della informazione, sempre estremamente solerti nel raccogliere gli inviti delle classi dominanti a concedere spazio alla menzogna e alla diffamazione, e la totale incapacità diplomatica delle maggiori istituzioni internazionali. A cominciare dalla Unione Europea, che non ha mai neanche immaginato di infastidire il potente alleato nordamericano impegnato nella ininterrotta opera di esportazione della “democrazia”. Per non parlare della OSA/OEA-Organizzazione degli Stati Americani, ormai spudoratamente accreditata come braccio politico degli Stati Uniti per l’America Latina. Un’agenzia per la esecuzione di colpi di stato, violenti o “dolci” che siano.

Ribadiamo la condanna degli intenti golpisti in Bolivia come in tutto il sub-continente, nonché la nostra totale e incondizionata solidarietà al popolo boliviano in lotta e al Presidente Evo Morales Ayma.
Coord. Naz. Associazione Italia – Nicaragua  

10 novembre 2019

   

Honduras “Il mio compito è la liberazione del mio popolo”

Honduras “Il mio compito è la liberazione del mio popolo”

El Triunfo resiste e lotta contro progetti minerari

El Triunfo, 4 novembre -.

L’Honduras ha più del 35 per cento del territorio dato in concessione per progetti estrattivi ed energetici. Le concessioni per l’esplorazione e lo sfruttamento minerario sono 302, 110 delle quali nel sud del paese. Nel caso specifico del comune di El Triunfo, a pochi chilometri dalla frontiera col Nicaragua, il popolo organizzato è riuscito a frenare almeno nove progetti che mirano a sfruttare circa 19 mila ettari del territorio su cui sorgono 11 villaggi e 136 comunità.

Nel dicembre dello scorso anno, con l’appoggio di organizzazioni locali e di alcuni settori della chiesa cattolica, la popolazione di El Triunfo ha realizzato una consultazione popolare che ha coinvolto quasi 9 mila persone. Il risultato non lascia dubbi: il 97,9 per cento ha votato contro le miniere, in particolare contro il progetto dell’azienda canadese Minera Los Lirios la quale, offrendo opere sociali, ‘comprando’ coscienze e seminando divisione, aveva inutilmente tentato di far partire il progetto estrattivo.

La decisione della popolazione è il risultato di quasi 20 anni di duro lavoro di coscientizzazione popolare e di organizzazione comunitaria in difesa del territorio e dei beni comuni.

Non si può rimanere neutrali

Padre Florentino Hernández ha 51 anni ed è parroco a El Triunfo. Per diversi anni ha accompagnato la lotta della popolazione contro i progetti minerari.

Nel 2015 monsignor Guido Charbonneau, vescovo di Chuloteca, decise di trasferirlo in una parrocchia di Nacaome, a quasi 100 chilometri da El Triunfo. Padre Florentino si dichiarò obiettore di coscienza e rifiutò il trasferimento. La decisione di sfidare il potere gerarchico per rimanere a fianco del popolo non solo gli causò molti problemi, ma mise a rischio la sua stessa vita.

“Mi identifico con la liberazione dei popoli. Sono una persona tollerante e di solito non prendo le cose di petto, ma in questo caso non posso accettare il trasferimento”, ha detto padre Florentino alla delegazione di Cofadeh e Rel-UITA che ha visitato la zona.

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Rivolte popolari e fake news

America Latina Rivolte popolari e fake news
Destabilizzando processi

Tegucigalpa, 31 ottobre (LINyM) -.

Creare confusione sui social e, con l’aiuto determinante dei media mainstream, diffondere menzogne e mezze verità trasformandole in “realtà oggettiva”, è uno dei principali strumenti delle destre latinoamericane.

Le sollevazioni popolari degli ultimi mesi contro le politiche neoliberiste di governi succubi degli interessi statunitensi e delle organizzazioni finanziarie internazionali, sono state oggetto di gravi manipolazioni mediatiche, all’interno di strategie più complesse che hanno l’obiettivo di criminalizzare e destabilizzare governi che non si piegano ai voleri di Washington.

L’abbiamo visto per oltre mezzo secolo a Cuba e, più recentemente, in Bolivia, Nicaragua e Venezuela. Paragonare i movimenti di opposizione in questi paesi con le sollevazioni popolari delle ultime settimane in Cile, Ecuador, Haiti e Honduras, non è solo un grave errore, ma anche una colpevole, a volte mal intenzionata, superficialità di analisi.

In Italia lo abbiamo visto con certi sedicenti gruppi di solidarietà con “il popolo del Nicaragua” (quale non si sa) che, privi di qualsiasi capacità di analisi o carichi di faziosità, si destreggiano in modo imbarazzante tra il sostegno a rivolte popolari come quella cilena o ecuadoriana e quello alle destre golpiste in Bolivia e Venezuela o alle opposizioni in Nicaragua, che vanno a braccetto con i congressisti ultraconservatori cubano-americani (Marco Rubio, Ted Cruz, leana Ros-Lehtinen y Mario Díaz Balart, solo per citarne alcuni) e con gli areneros salvadoregni assassini di Mons. Romero.

Nei giorni scorsi, l’analista politico nicaraguense Carlos Fonseca Terán ha sviscerato questo tema. Scrive Fonseca Terán “le politiche e il modello (economico) contro cui i manifestanti protestano in Cile, Ecuador, Haiti e Honduras, sono le stesse politiche promosse da quelle forze che oggi cospirano per destabilizzare quei governi che le hanno combattute in precedenza”.

E continua “nel caso di paesi con governi di destra, le proteste sono dovute a rivendicazioni sociali, mentre nel caso di paesi come Bolivia, Cuba, Nicaragua e Venezuela si tratta di azioni che perseguono un solo obiettivo politico: il rovesciamento del governo”. Più chiaro di così…

Viviamo tempi confusi, turbolenti e convulsi. Per capire la complessità di questi fenomeni bisogna andare in profondità, svelando menzogne, smascherando bugiardi e burattinai.

Di seguito alcuni stralci del testo di Fonseca Terán.

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America Latina – Mattatoio Cile

America Latina – Mattatoio Cile

E’ di scena la versione 2.0 di ciò che conoscemmo l’11 settembre 1973

Santiago de Chile, 25 ottobre (AltreNotizie)

Sono decine i morti, centinaia i feriti e quasi duemila gli arrestati. Notizie di violenze ai danni dei prigionieri si succedono e pare che le donne siano i bersagli preferiti. Le forze armate cilene mostrano al mondo la loro meritata fama di aguzzini. Sparano ad altezza d’uomo a ogni essere umano che si muove. Senza nessuna distinzione tra chi protesta pacificamente e chi cerca di difendersi dalla violenza cieca di militari privi di ogni coraggio ed ogni dignità. Le forze armate cilene sono la vergogna del Cile intero.

Ma non di sola ferocia da sbirraglia si tratta. Rendono chiaro chi comanda politicamente quando correggono il presidente Piñera, che è del resto espressione delle elites economiche del paese andino, abituate a chiedere ai militari di salvaguardare la distanza che intercorre tra il loro arricchimento e le sorti del popolo cileno. L’ipoteca generale che i militari hanno sulla cosiddetta democrazia cilena si rivela in molteplici aspetti. Il primo di questi è determinato dalla loro ingiudicabilità e inquestionabilità, ovvero dall’impunità generale per le loro azioni, ammesso che qualcuno pensi un giorno di chiedergliene conto.E’ una relazione di dipendenza totale, del resto, quella che lega le elites cilene alle forze armate. E’ in loro nome e per loro conto che nel 1973 si rivoltarono contro il governo di Unidad Popular guidato dal socialista Salvador Allende. Una dipendenza che si accoppia a quella nei confronti degli Stati Uniti, che ispirarono il golpe e la transizione successiva e che ora hanno ordinato di fare quel che sia necessario affinché l’ordine regni a Santiago.

La catena di comando cilena è semplice quanto circolare: oltre che della collocazione geopolitica del Cile, le multinazionali statunitensi dispongono delle sue notevoli risorse di suolo e sottosuolo e le elites del Paese, razziste ed ignoranti, dedite al cumulo di vizi e privilegi, svolgono il ruolo di interessati addetti alla tutela del patrimonio. Riassumendo: i militari, che dispongono del Paese, impongono al governo l’agenda di lavoro ma, a loro volta, prendono ordini dal Pentagono. Tutti insieme formano il “modello”.

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