Di Raul Zibechi – ALAI America latina 23/05/2015
Anche se le missioni di pace guadagnano spazi mediatici per gli abusi sessuali dei caschi blu, dietro a questi “effetti collaterali” si osserva una subordinazione del paese ricettore, così come di quello che invia i soldati, in una strategia di disciplinamento che deborda ed è fuori dal loro controllo.
“La fine della Guerra Fredda scatenò una ricerca in tutto il mondo di nuove missioni militari e di motivazioni per tali missioni”. Scriveva la “Military Review”, portavoce delle forze armate degli Stati Uniti quasi due decadi fa. Sentenziava anche: “una delle missioni più importanti è quella del mantenimento della pace” (Military Review, n°5, 1997, p.50).
Nel numero più recente della stessa pubblicazione, un articolo destinato ad analizzare “il potere statunitense in transizione”, il colonnello Isaiah Wilson III segnala: “Gli interventi militari degli Stati Uniti dal 1989 hanno fomentato cambiamenti tettonici nel sistema internazionale. Hanno sfidato le norme, i principi, le regole ed i procedimenti della presa di decisioni internazionali che hanno creato stabilità nel sistema negli ultimi 60 anni. In particolare, gli interventi degli Stati Uniti hanno sfidato ciò che una volta era considerato sommamente inviolabile – la sovranità territoriale.” (Military Review, marzo-aprile 2015, p.25).
Con la sua proverbiale trasparenza (e impunità), il colonnello Wilson III che ha l’incarico di direttore del Programma di Grande Strategia nell’accademia militare di West Point, rileva che a partire della decade del 1990 si produsse l’internazionalizzazione dei conflitti domestici, ovvero l’utilizzazione di tali conflitti per procedere negli interventi militari. “La caratteristica definitoria di molti degli interventi degli anni ’90 – Somalia, i Balcani, Haiti, Ruanda, Kosovo, Timor Est, tra gli altri – è stato l’appello e l’impulso di interventi stranieri in nome di cittadini e comunità all’interno di tali stati”, conclude Militay Review (p. 26).
Missioni di pace: Haiti
Le “missioni di pace” delle Nazioni Unite nel mondo, per la maggior parte in Africa, si relazionano con questo obbiettivo, di risolvere i problemi creati dai successivi interventi militari degli Stati Uniti nel mondo. Tanto in Africa come nei Caraibi, oltre a contenere i disastri generati dalla distruzione di Stati-nazione precedentemente debilitati da una dolorosa storia coloniale, si tratta ora di fare il possibile per frenare l’avanzata della Cina.
In questo schema si inserisce il “lideraggio straordinario” che avrebbe l’Uruguay, secondo quanto afferma Victoria Holt a Montevideo, sottosegretaria dell’ufficio per le Organizzazioni Internazionali degli Stati Uniti, durante la conferenza regionale sulle Operazioni di Mantenimento della Pace, realizzata il 6 e 7 di maggio. I militari del Messico e della Colombia si apprestano a unirsi alle missioni di pace. Il “progresso” che la funzionaria statunitense attribuisce alla missione ad Haiti, non si concilia con le denunce di organizzazioni internazionali sulle violazioni permanenti che commettono i caschi blu, includendo gli uruguayani.
Durante la presentazione realizzata nella Facoltà di Scienze Sociali il 7 maggio, l’analista istituzionale Fernando Moyano, che fa parte del Coordinamento per il Ritiro delle Truppe di Haiti, spiegò che di 115.000 caschi blu in 15 missioni nel mondo, il 77 per cento sono “in punti falliti delle periferie dell’Africa” e il 10 per cento ad Haiti, dove “non c’è un conflitto armato, ma conflitto politico che si vuole contenere con l’intervento militare.” Secondo lui, le missioni di pace “non sono neutrali, sono forze combattenti a favore di un lato” e “non cercano la pace ma di sconfiggere una delle due parti”.
Dal punto di vista della strategia militare degli Stati Uniti, che di fatto coincide con le potenze europee come la Francia, responsabile diretta dell’ultimo colpo di stato ad Haiti contro il presidente Jean Bertrande Aristide, nel 2004, le missioni di pace “alleggeriscono lo sforzo militare sovradimensionato (overstrech) delle potenze imperialiste” e legalizzano “la guerra permanente del mantenimento dell’ordine mondiale”. Haiti è stata invasa per la prima volta dagli Stai Uniti nel 1915. Per questa ragione, Moyano sostiene che le missioni di pace delle Nazioni Unite “pretendono di amministrare gli stati falliti” creati dalla politica estera della superpotenza.
Uno degli argomenti centrali di chi difende questo tipo di interventi militari, è che una ritirata delle truppe provocherebbe, il giorno seguente, lo scoppio di una guerra civile. Questa fu esattamente la domanda che l’allora vice cancelliere uruguayano, Luis Porto, formulò al senatore haitiano Moise Jean Charles a ottobre dell’anno passato. “Non tema lei per Haiti”, rispose il senatore. “La MINUSTAH non copre la totalità del territorio haitiano, solo le grandi città. Non si occupa neanche, lì dove c’è, dei problemi della popolazione che richiedono attenzione di ordine pubblico, rispondono “noi non siamo qui per questo”. Ci sono solo per problemi politici, come reprimere proteste popolari. La MINUSTAH non è una garanzia per la realizzazione di elezioni democratiche, ma un ostacolo”.
A rigor del vero, l’unico beneficio ricevuto dalla popolazione di Haiti è la presenza di medici cubani, che si rivolgono al 75 per cento della popolazione. Un vero aiuto umanitario, non militarizzato, che contrasta l’epidemia del colera che introdussero i soldati stranieri, che costò la vita a ottomila haitiani e ne fece ammalare 600 mila. Moyano mostrò in una tabella i risultati dell’aiuto cubano, che è riuscito a ridurre la mortalità infantile e materna a meno della metà e a far aumentare la speranza di vita da 54 a 61 anni, dal 1999 al 2007.
Effetti collaterali
Il 2 maggio si è saputo della denuncia di una ONG francese che assicura che bambini africani dai quattro ai dieci anni sono sequestrati e venduti come schiavi sessuali. “E molti utilizzatori sono membri delle Nazioni Unite”, rileva la denuncia, mentre assicura che l’organismo internazionale conosce la situazione. E’ solo l’ultima di una serie di denunce di abusi che colpiscono i caschi blu ad Haiti. La missione in Congo riceve denunce simili di abusi sessuali, lì sono sotto accusa quattordici militari francesi.
“Imperialismo sessuale” è il termine coniato dal professore colombiano Renàn Vega Cantor per descrivere la conseguenza della presenza militare statunitense nel suo paese. Nel 2007, furono abusate 53 bambine dai militari di questo paese, situazione che si ripete in tutti quei luoghi – dalle Filippine e Corea del Sud fino ai Balcani e le sette basi che possiede la Colombia – mostrando che non si tratta di eccessi specifici, ma di una politica sistematica che trasforma l’esercito della superpotenza nel “maggior prosseneta del pianeta” (Pagina 12, 4 maggio, 2015).
Parte delle conclusioni di Vega Cantor rimpinguano le 800 pagine del dossier della Commissione Storica del Conflitto e delle sue Vittime. Uno dei problemi è l’impunità, che garantisce che i soldati di qualsiasi paese non siano giudicati dalle leggi dei giudici locali. Una relazione asimmetrica, coloniale, che favorisce abusi e violazioni.
Anche se la violenza sessuale solitamente guadagna i titoli dei mezzi di comunicazione, esistono altri effetti collaterali delle missioni di pace, e in concreto della MINUSTAH, che vengono generalmente occultati gelosamente. Le missioni modellano le forze armate che partecipano al loro interno e, in modo più indiretto, influiscono sulla popolazione.
Dal punto di vista quantitativo, circa il 10 per cento degli effettivi della forza armata uruguayana partecipano alla missione ad Haiti. Però a questa cifra devono sommarsi gli sforzi e il personale dedicati alla preparazione e recupero, alla logistica e ai servizi che Moyano stima in un terzo del personale militare totale. A ciò deve essere aggiunto un aspetto qualitativo: le missioni “segnano il passo” per ciò che riguarda il rinnovamento degli armamenti, l’introduzione di nuove tecnologie e la formazione degli effettivi. Infine, un soldato ad Haiti riceve un salario di 1.500 dollari, quasi 40 mila pesos, diventando un riferimento per il resto della truppa.
In sintesi, le missioni di pace disciplinano il paese che le ospita, però allo stesso tempo anche quello che invia i suoi soldati, perchè si inserisce in uno schema geopolitico che non può controllare e lascia che le sue forze armate siano modellate secondo i grandi interessi che governano il mondo. Con la benedizione e la copertura politica di tutti i progressismi.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.