Nicaragua, modifiche del Codice di Procedura Penale: repressione o sovranità? Intervista a Fabrizio Casari
12.09.24 – Lorenzo Poli
È stata una settimana ricca di eventi in Nicaragua. Il governo sandinista è stato accusato di “indebite restrizioni” delle libertà religiose, di detenzioni arbitrarie, intimidazioni, maltrattamenti in carcere e attacchi contro le popolazioni indigene. Il 5 settembre il governo sandinista ha rilasciato – secondo fonti USA – 135 “prigionieri politici”. Aumenta la preoccupazione per la riforma del Codice di Procedura Penale approvata recentemente da Managua, mentre il governo sandinista torna a chiedere modifiche al Parlamento per potenziare il ruolo della Polizia Nazionale. Lontano dalla propaganda anti-sandinista e dalla narrazione mainstream occidentale, cerchiamo di capire cosa sta succedendo in Nicaragua e se le riforme attuali siano forme di “repressione codificata”, di “indebita restrizione” o se siano ben altro. Di questo ne parliamo con Fabrizio Casari, giornalista, analista internazionale, Direttore di Altrenotizie.org e profondo conoscitore di America Latina e di Nicaragua, dove ha vissuto per tre anni.
L’altro giorno l’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani ha registrato, da parte del governo di Ortega, “indebite restrizioni” delle libertà religiose. Accusa fondata – nel cattolicissimo Nicaragua – o accusa politica?
E’ un’accusa politica, com’è tradizione di questo organismo nei confronti di Managua. Diciamo che la coincidenza di opinioni tra questa commissione Onu e il Dipartimento di Stato USA negli ultimi 17 anni è costante. Il Nicaragua non vive nessun restringimento delle libertà religiose, sarebbe sciocco anche solo pensarlo in un Paese con un tasso di religiosità intorno al 93%.
Ma poi quali sarebbero le indebite restrizioni? Aver smesso di finanziare con denaro pubblico la Chiesa? Chiedere alla gerarchia ecclesiale di rispettare le leggi vigenti? Di essere in regola con le norme che disciplinano le attività degli organismi – di ogni tipo – che esercitano attività pubbliche nel Paese? E per quale motivo si dovrebbero assegnare alla Chiesa cattolica prerogative diverse e superiori rispetto a quelle valide per tutti?
Ciò che allontana i fedeli dalla Chiesa è averla trasformata in un partito d’opposizione al governo, che anche dopo il 2018 – quando la gerarchia ecclesiale diresse il tentativo di colpo di Stato – ha proseguito nell’opera di proselitismo anti-sandinista. Ma se si vuole fare politica si fonda un partito con una sua personalità giuridica. Utilizzare il credo religioso e la buona fede dei credenti per organizzare fronti politici di natura eversiva non è permesso. Almeno non in Nicaragua.
Quello che sconcerta è, come sempre, la doppiezza del mainstream: in Ucraina Zelensky cancella la libertà di culto e proibisce la fede cristiano ortodossa, ma lì si tace e le accuse di persecuzione religiosa vanno al Nicaragua. In Venezuela, Usa e UE, difendono l’oppositore Gonzales, che negli anni ’80 dall’Ambasciata di Caracas a San Salvador, per conto della CIA, collaborò con gli “squadroni della morte” che uccisero Monsignor Romero, oltre a suore e gesuiti. Anche qui silenzio della Chiesa. Sembra che solo quando si deve parlare di Nicaragua l’ipocrisia e il doppiopesismo non possano mancare.
I media e le agenzie stampa mainstream hanno parlato di detenzioni arbitrarie, intimidazioni, maltrattamenti in carcere e attacchi contro le popolazioni indigene. Cosa sappiamo al riguardo?
Non ho notizie di detenzioni arbitrarie, ricordo invece ben due amnistie promulgate verso chi ha commesso crimini orrendi nel 2018. Quanto alle popolazioni indigene, quelle che indichi sono bugie. Mai nella loro storia le comunità indigene hanno goduto di tanta inclusione, di tanti diritti, mai sono state così rispettate nelle loro tradizioni e costumi e, nel contempo, così rappresentate e protagoniste del processo di crescita della Regione Autonoma e del Paese tutto. Basta vedere i risultati elettorali nella zona Caraibica per rendersi conto del grado di adesione al Sandinismo.
Vorrei aggiungere che è appena stato nominato Ministro degli Esteri, Valdrack Jaentschke, che è un afrodiscendente della Costa Caraibica del Nicaragua. Il primo Ministro degli Esteri afrodiscendente nella storia del Paese. La verità è che il FSLN, come partito e come governo, storicamente, è stato l’unico ad occuparsi delle condizioni dei popoli che vivono nella Costa Atlantica, con la volontà di tenere ben salde le radici della nazione e la sua stessa proiezione futura e questo segna una differenza abissale con quanto avviene nella maggior parte del subcontinente.
Il 5 settembre il governo sandinista ha rilasciato – secondo fonti USA – 135 “prigionieri politici”. Il consigliere per la Sicurezza Nazionale statunitense, Jake Sullivan, ha detto che sono stati liberati per motivi umanitari e che sono state portati in Guatemala, dove adesso potranno fare domanda per l’ingresso negli Stati Uniti oppure in altri Paesi. Eric Jacobstein, il dirigente del dipartimento USA che li ha accolti in Guatemala, ha affermato che molte di loro erano state imprigionate per motivi risibili e alcune avevano subìto torture. Verità accertate o propaganda?
Non vi sono episodi di torture o maltrattamenti a detenuti che riguardino il Nicaragua dal 1979, ovvero da quando il Sandinismo sconfisse la Guardia Nazionale di Somoza. Ve ne sono invece, a tutt’oggi, negli USA (da Abu Ghraib a Guantanamo).
Il Nicaragua dispone di una legge contro tortura e maltrattamenti ai detenuti (la Legge 641), mentre è l’Italia che si rifiuta di adottare le convenzioni internazionali contro la tortura. Dunque se la credibilità di una denuncia passa anche per quella del denunciante, quella dei media italiani è propaganda da due soldi. I “motivi risibili” di cui parla Jacobstein? Lo sono solo perché i reati si sono consumati in Nicaragua; negli USA non li definirebbero “risibili”, perché le pene sarebbero infinitamente più pesanti e la possibilità di scegliere tra restare una vita in carcere o rifarsi la vita in un altro Paese non sarebbe prevista.
Il 4 settembre il Parlamento nicaraguense ha approvato con 88 voti a favore sui 91 deputati la modifica per perseguire le persone fisiche o giuridiche – anche straniere – che commettano crimini fuori dal territorio nazionale contro la pubblica amministrazione, lo Stato e le sue istituzioni, compresi i crimini informatici. Di cosa si tratta? Ci sono Stati Occidentali che hanno norme molto più severe?
La maggior parte dei Paesi del mondo persegue i crimini di cui è vittima anche oltre il suo territorio nazionale. Lo fa con l’ausilio degli organismi internazionali preposti. Perché il Nicaragua non dovrebbe farlo? Tra l’altro ciò pare ampiamente giustificato dagli eventi succedutisi nel 2018 e nei tentativi (stroncati) di ripeterli successivamente. I centri decisionali delle operazioni di destabilizzazione contro il Nicaragua sono all’estero, così come lo sono diversi esponenti delle trame golpiste e il fatto di operare dall’estero nulla toglie alla gravità dei reati.
Ma il senso degli aggiornamenti legislativi s’incentra su aspetti ancor più ampi, sebbene a volte collegati ai tentativi di destabilizzazione. Il Nicaragua, per la sua posizione geografica, è terreno interessantissimo per il narcotraffico e il crimine organizzato e queste organizzazioni godono di grandi dimensioni, peso e appoggi internazionali. Ma le operazioni di trasporto di droga e di persone, come di riciclaggio di denaro sporco, funzionano solo in stati compiacenti o non agguerriti sotto il profilo della prevenzione e repressione di questi reati. E’ noto invece che il Nicaragua è un autentico muro di contenzione rispetto ai crimini di questa natura e che la tutela delle sue frontiere è questione molto seria per Managua.
In Nicaragua transitano idee e non crimini. La sua capacità di pattugliamento nell’area Caraibica di competenza e alla frontiera con gli altri Paesi centroamericani ha reso il Paese obiettivo complicato per i criminali; lo dice il Pentagono, non io. Ma la potenza, la disponibilità di mezzi e l’estensione internazionale delle organizzazioni criminali non possono essere sottovalutate: serve il costante aggiornamento degli strumenti legislativi per la prevenzione e la repressione.
Lo stesso dicasi per il riciclaggio del denaro. Managua prende molto sul serio le operazioni di riciclaggio: sa perfettamente che il Nicaragua può essere sia transito che destinazione di questi crimini finanziari. Ha aderito al gruppo di Paesi che combattono il riciclaggio (GAFI) e le attualizzazioni del suo impianto normativo rispondono alle raccomandazioni dell’ultima sessione plenaria della Financial Action Task Force (FATF) del 27 ottobre 2023. Ma sembra che nel momento in cui Managua si dota degli strumenti giuridici più adatti ad efficientare il contrasto all’attività criminale vi sia da obiettare. Strano, no?
C’è poi un aspetto che ha a che vedere con i crimini legati all’uso delinquenziale della Rete. I crimini informatici rivestono una importanza fondamentale per l’intera comunità internazionale, prova ne sia che tutti i paesi hanno adeguato i rispettivi codici penali e civili per farvi fronte o, comunque, non lasciarli impuniti.
E’ dall’estero che, attraverso trolls, boots e fake news si attacca il Paese ed è all’estero, dunque, che si deve vigilare. L’interconnessione di sistemi ed il controllo tecnologico sul funzionamento dei gangli vitali di ogni nazione (telecomunicazioni, trasporti, sanità, rete elettrica e falde acquifere, idrocarburi, porti, aeroporti etc.) è terreno di massima attenzione per la vastità e profondità dei danni che può determinare nell’organizzazione del tessuto di un Paese. Ovvio dunque che il Nicaragua non consenta impunità per chi, anche se dall’estero, tenta di colpirlo. E questo vale per ogni tipo di delitto. Ripeto: è tema comune a tutti i paesi del mondo e tutti si organizzano alla stessa maniera con le stesse modifiche legislative.
Quello approvato è un insieme di norme che ha lo scopo di tutelare la sicurezza nazionale del Nicaragua e la pace interna così faticosamente riconquistata. Semmai quello che va sottolineato è l’aspetto comparativo, che rende tutt’ora Managua infinitamente più clemente nell’assegnare le pene previste della maggioranza dei paesi che criticano il Nicaragua ma che nei loro codici penali e civili prevedono per gli stessi reati pene infinitamente più dure. Dunque, a meno che non si voglia stabilire che il Nicaragua debba essere l’unico paese senza il diritto di difendersi, si deve riconoscere la sostanziale correttezza del suo impianto legislativo. Che poi in molta parte dello stesso vede aggiornamenti di leggi approvate dai governi liberali al servizio degli USA, solo che allora – guarda un po’ – non destavano polemiche.
Ortega ha chiesto al Parlamento la quarta modifica del Codice di Procedura Penale del Nicaragua sul ruolo della Polizia Nazionale. I media occidentali parlano di una riforma liberticida che darebbe libertà alla Polizia di “fare irruzione, sequestrare apparecchiature elettroniche e informatiche e richiedere alle compagnie telefoniche informazioni digitali (chiamate, messaggi di testo e vocali, geolocalizzazione) delle persone sotto indagine senza la necessità di un ordine del tribunale”. Si tratta di una notizia attinente alla norma, o un’illazione fuorviante rispetto al contenuto?
E’ divertente che la stampa filo-USA guardi i possibili abusi della polizia in Nicaragua e non chieda conto delle 1247 vittime innocenti della polizia statunitense nel solo 2023. In Nicaragua non si registrano abusi di polizia, che del resto il quadro di scarsa percentuale di delitti e la sua stessa natura di organismo comunitario sembrano poter escludere in linea teorica. Il Nicaragua non è il Cile o l’Argentina e nemmeno l’Ecuador, il Brasile o Il Salvador. Nell’articolo 8 della Legge 1205 del giugno di quest’anno, che attualizza le norme precedenti in materia di contrasto al crimine organizzato, al riciclaggio e al finanziamento di armi di distruzione di massa, si prevede la maggiore agilità di coordinamento tra le diverse strutture nazionali nei processi di investigazione poliziesca e giudiziaria, dunque niente a che vedere con quello che riportano i media atlantisti. In Nicaragua, come altrove, il legislatore adegua le leggi alle mutazioni del contesto. Purtroppo, chi denuncia il presunto restringimento del sistema di garanzie sono gli stessi che lo sollecitano promuovendo la destabilizzazione; ciò genera una maggiore e costante opera di monitoraggio per adeguare il codice e le leggi alla tipificazione dei reati che, spesso, hanno natura esogena.
Ragionare sul garantismo legislativo di uno Stato può esser fatto solo se si analizzano tutti gli stati e con la stessa lente, altrimenti è speculazione politica. In vena di garantismo – sempre rispettabile – sarebbe bene che i media ufficiali si occupassero del Patriot Act USA, al cui confronto le leggi nicaraguensi sono rimbrotti pedagogici. Se c’è una legislazione che riduce a insignificanza burocratica l’attività delle Procure è proprio quella statunitense. Dove alla polizia, a differenza di quello che si vede nelle loro serie Tv, basta anche solo pronunciare “sicurezza nazionale” per archiviare immediatamente l’habeas corpus e tutto il sistema di garanzie del giusto processo nei confronti di individui, statunitensi o di qualunque altro Paese. Dunque se questo impianto si giustifica non è poi eticamente possibile accusare il Nicaragua o a qualunque altro paese che, con mezzi infinitamente minori, deve far fronte alla destabilizzazione procurata dalla più grande potenza del mondo. C’è poi l’aspetto più curioso: a tutti si chiede l’uniformità sistemica agli Stati Uniti come dimostrazione di valori democratici, ma non sulle norme per la difesa della sicurezza nazionale. Quella è questione riguardante solo loro.
La verità è che il Nicaragua è sottoposto a pressioni ed ingerenze che non ritiene di dover facilitare ma di contrastare. L’ansia di dominio del Nicaragua per gli USA è una ossessione storica ma tremendamente attuale, potremo parlarne diffusamente in un’altra occasione. Intanto registriamo l’iniziativa destabilizzatrice degli Stati Uniti nel continente, che li porta ad intervenire pesantemente con tentativi continui di golpe in Venezuela ma non solo. I Presidenti di Messico, Colombia, Bolivia e Honduras denunciano manovre golpiste ed ingerenze indebite che confermano le minacce del Generale Laura Richardson, Capo del Comando Sud delle Forze Armate USA, circa il rientro obbligato delle ricchezze latinoamericane in mano USA. Insomma il quadro complessivo lascia intendere come la riconquista dell’Argentina, del Cile e dell’Ecuador sia solo la base da cui gli USA provano a partire per sferrare l’attacco alle democrazie socialiste nel continente. Provano a prendere con la forza ciò di cui non dispongono ma a cui ambiscono: risorse e indipendenza. Mi piacerebbe, di tanto in tanto, leggere articoli sui nostri media che critichino l’ingerenza golpista in America Latina e non la risposta che si dà per contenerla.
Sono Lorenzo Poli, sono nato a Brescia e dopo la maturità classica, ho iniziato a frequentare il corso di Scienze Politiche Relazioni Internazionali Diritti Umani all’Università di Padova. Appassionato di attualità politica, politica internazionale, questione di genere e studi postcoloniali mi interesso di temi riguardanti diritti umani, antirazzismo, femminismo, liberazione animale e antispecismo con particolare attenzione all’intersezionalità dei contesti. Da qualche anno mi occupo, da autodidatta, di popoli in lotta contro l’imperialismo, di America Latina, di conflitti in Medioriente, in particolare la Palestina in una prospettiva decoloniale. Nel 2019 ho contribuito a fondare Progetto EcoSebino, progetto di rigenerazione eco-sociale che interseca le lotte per la giustizia ambientale e per la giustizia sociale sul territorio del Lago d’Iseo. Collaboro con Il Periodista ed ho pubblicato nel 2016 il mio primo romanzo “Luce al di là del Buio”, edito da Marco Serra Tarantola Editore.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.