America Latina-Fronte comune contro imperialismo e colpi di stato

America Latina

Fronte comune contro imperialismo e colpi di stato

Più di 1300 persone riunite per condividere esperienze, coordinare lotte,
promuovere unità nella diversità. Intanto in Bolivia si consuma un nuovo golpe e inizia il massacro

Incontro antimperialista a La Avana (foto cubainformacion.tv)

Managua, 16 novembre (Altrenotizie | LINyM) 

Dal 1° al 3 novembre a L’Avana, Cuba, si è svolto l’incontro di solidarietà antimperialista, per la democrazia e contro il neoliberismo. Per tre giorni, più di 1300 delegate e delegati di 789 organizzazioni, movimenti, reti, piattaforme, comitati,  partiti politici, provenienti da tutti gli angoli del mondo (86 paesi rappresentati), si sono incontrati per discutere, dibattere, condividere esperienze, coordinare lotte, nello sforzo, non sempre facile, di realizzare unità d’azione.

“Stiamo vivendo un nuovo momento storico. La gente alle urne, per le strade e sui social network mostra, con il suo voto e le sue proteste, l’esaurimento dell’offensiva imperialista, conservatrice e della restaurazione neoliberista della destra oligarchica che, in collaborazione con il  fondamentalismo religioso, il potere dei media, il gran capitale e le imprese multinazionali, mano nella mano con l’imperialismo statunitense, nella sua natura predatoria, esclude ampi settori della popolazione, distruggendo il lavoro dignitoso, la vita in armonia con la natura e mette in pericolo la specie umana”, segnala con forza la documento finale dell’incontro.

Temi del dibattito

Sei sono stati i temi intorno ai quali è stata articolata la discussione e si è delineata la futura agenda continentale: solidarietà con Cuba e altre cause giuste; i popoli di fronte al libero commercio e alle multinazionali; decolonizzazione, guerra culturale, comunicazione strategica e lotta sociale; i giovani; democrazia, sovranità e anti-imperialismo; integrazione, identità e lotte comuni nella Patria Grande.

“L’incontro è parte di un processo di costruzione collettiva che è nato nel 2015 e che coinvolge diversi soggetti, con l’obiettivo di unire analisi, ed esperienze di lotta, portando alla creazione di uno spazio che noi chiamiamo Giornata continentale per la democrazia e contro il neoliberismo”, spiega Martha Flores, coordinatrice di Jubileo Sur/Americhe.

Due anni dopo (2017) si organizzò un altro incontro continentale a Montevideo, dove sono stati ripresi diversi punti del programma comune e si è andati avanti nell’articolazione.

“E’ stato all’inizio di quest’anno che abbiamo deciso che la prossima riunione si sarebbe svolta a Cuba. Venivamo da tempi molto difficili, con colpi di stato, offensive per destabilizzare e rovesciare governi progressisti, sconfitte elettorali, un’evidente avanzata della destra continentale  e dei processi neo liberisti di privatizzazione e sottomissione alle politiche delle istituzioni finanziarie internazionali. Lo stiamo vedendo in questi giorni in Ecuador, Cile, Honduras e Haiti, dove vi è un rifiuto totale di queste politiche”.

Prospettiva anti-imperialista e anti-neoliberista

In questo secondo incontro, uno dei temi più dibattuti è stato quello della solidarietà con Cuba e la condanna assoluta del criminale embargo economico, commerciale e finanziario degli Stati Uniti, che nei giorni scorsi ha subito un’altra pesante sconfitta nelle Nazioni Unite.

“E’ stato un momento importante per tornare a mostrare solidarietà con Cuba e la sua Rivoluzione, per condannare questo brutale embargo – le cui misure si sono intensificate come non mai con il governo Trump -, ma anche per creare uno spazio in cui convergano molteplici forme organizzative, per ripensare e coordinare tutti i processi di resistenza e di lotta derivanti dai territori, raggiungendo reti locali, nazionali e regionali mobilitate a favore della solidarietà, la vita e l’autodeterminazione dei popoli”, ha detto la coordinatrice del Jubileo Sur/Americhe.

L’incontro ha posto una sfida fondamentale: come mantenere questa unità nella diversità, con obiettivi chiari, con un cammino tracciato, con la convinzione che abbiamo bisogno di unire gli sforzi per apportare modifiche che promuovano la dignità e il diritto dei popoli?

In questo senso, questo secondo incontro continentale è servito per analizzare in modo approfondito la situazione del continente latinoamericano e caraibico, in particolare la lotta contro gli effetti del modello neoliberista in paesi come Ecuador, Cile, Haiti e Honduras, così come la resistenza ai tentativi golpisti e ai processi di destabilizzazione di governi legittimi in Bolivia, Nicaragua e Venezuela, e l’uso della ‘giustizia’ per criminalizzare e perseguire difensori di territori e beni comuni, o personalità come l’ex presidente Luiz Inacio Lula da Silva, da poco scarcerato dopo quasi 600 giorni di prigionia.

“C’è stata molta discussione e dibattito su ciò che noi consideriamo ‘giuste cause’. Le persone sono ben consapevoli del momento storico che stiamo vivendo e dei pericoli che abbiamo di fronte. In undici giorni, per esempio, si sono raccolte a Cuba più di 2 milioni di firme per la liberazione di Lula. Nello stesso tempo si sono analizzati il colpo di stato razzista e classista in Bolivia contro il presidente Evo Morales e la situazione della lotta e insurrezione in Cile, che punta a una trasformazione sostanziale e profonda di un modello basato sulla precarietà della vita”, ha detto Martha Flores.

Bolivia in fiamme

Per quanto riguarda la Bolivia, la situazione si è rapidamente deteriorata dopo l’intervista con la coordinatrice del Jubileo Sur/Americhe.

La mattina del 10 novembre si è consumato il colpo di stato. Nonostante la decisione del presidente Morales di rispettare il contenuto del rapporto preliminare degli auditor dell’Organizzazione degli stati americani (Osa), che chiedevano nuove elezioni e il rinnovo di tutto il Tribunale supremo elettorale, e di chiamare al dialogo, la proposta è stata respinta dai due principali oppositori, il candidato presidenziale Carlos Mesa e l’ultraconservatore e fondamentalista religioso Luis Fernando Camacho. A fare precipitare le cose ci si è messo il capo di Stato maggiore dell’esercito boliviano, che è apparso in conferenza stampa per “suggerire” al presidente Morales di dimettersi (nonostante lo stesso rapporto riconoscesse Morales come il vincitore della prima tornata elettorale). La polizia si era già ammutinata da venerdì.

Intanto la violenza golpista infieriva con attacchi sempre più violenti contro membri e sostenitori del Movimento per il Socialismo (MAS), funzionari di governo e le loro famiglie. Sono stati anche attaccati edifici pubblici e occupati canali televisivi e radio statali, costringendo i lavoratori ad abbandonare gli edifici dopo averli aggrediti. Il direttore della radio statale è stato addirittura legato a un albero. Le immagini delle violenze circolavano solo sui social e su alcuni canali internazionali come la venezuelana teleSUR, mentre venivano sistematicamente occultate dal mainstream.

Nel primo pomeriggio, per evitare un bagno di sangue, il presidente Evo Morales e il suo vice Álvaro Garcia decidevano di rinunciare al loro mandato e denunciavano che era in corso un vero e proprio colpo di Stato, che godeva del sostegno silenzioso, ma efficace, di buona parte della comunità internazionale.

Se l’Osa è stato il “cavallo di Troia” di questo nuovo golpe del ventunesimo secolo, la stragrande maggioranza dei governi latinoamericani – solo Cuba, Messico, Nicaragua, Venezuela e il presidente neo eletto dell’Argentina hanno condannato immediatamente la rottura dell’ordine costituzionale e hanno espresso la loro solidarietà a Morales -, gli Stati Uniti, l’Unione europea, le Nazioni unite e la Commissione interamericana per i diritti umani (Cidh) hanno mantenuto un rigoroso silenzio di fronte alle atrocità che venivano commesse. In particolare la Cidh ha cominciato a mostrare “preoccupazione” solo nella giornata di ieri 15 novembre, quando a Sacaba, Cochabamba, la repressione di militari e poliziotti ha fatto almeno 7 vittime e un numero non ben precisato di feriti.

La casa del presidente Morales è stata attaccata e saccheggiata, tutti i membri del massimo organo elettorale sono stati imprigionati o su di loro pende un ordine di cattura, si sono moltiplicati gli episodi di violenza razzista (come incendiare la wiphala, la bandiera di sette colori dei popoli andini, riconosciuta come simbolo dello Stato Plurinazionale della Bolivia nella Costituzione del 2008), decine di funzionari pubblici e legislatori del MAS hanno chiesto asilo presso l’ambasciata messicana. In mezzo a questa ‘caccia alle streghe’ sono diventate sempre più forti le voci di un possibile arresto del presidente Morales.

Mentre migliaia di persone si muovevano da El Alto verso La Paz per condannare il colpo di Stato, Morales ha deciso di accettare la disponibilità del governo messicano di concedergli asilo politico. E proprio mentre il presidente boliviano volava a Città del Messico, la seconda vicepresidente del Senato, l’ultraconservatrice Janine Añez, conosciuta per avere espresso più volte sui social il suo disprezzo nei confronti delle popolazioni indigene e della loro cultura millenaria, decideva di autoproclamarsi presidente ad interim nonostante fossero presenti solo pochi deputati in aula. Ad aiutarla a indossare la fascia presidenziale ci ha pensato un pezzo grosso dell’esercito e le prime decisioni da fake-presidente sono state prese intorno a un tavolo del palazzo di governo, completamente “circondata” dalle alte sfere della polizia e dell’esercito.

Il giorno dopo, l’11 novembre, l’improbabile presidente ha nominato i ministri del suo governo di transizione e ha dato i primi passi per traghettare il paese verso nuove elezioni, ultima tappa della legalizzazione del golpe. A tal proposito, Añez ha già detto che né Morales, né García Linera potranno candidarsi, mentre resta il dubbio su cosa accadrà al MAS, che fino al 20 gennaio 2020 controllerà i due terzi delle due Camere e che ha da poco eletto due dei propri parlamentari come presidenti di Camera e Senato. È proprio in Parlamento dove si giocherà la partita più importante per frenare la consolidazione del colpo di Stato, a meno che le forze golpiste non decidano di eliminare ogni parvenza di democrazia.

A questo punto non si può non approfondire il ruolo che ha avuto l’Osa nel colpo di stato in  Bolivia. Il giorno stesso della votazione, il segretario generale dell’Osa, Luis Almagro, e la missione d’osservazione elettorale hanno messo in discussione il risultato delle elezioni, arrivando addirittura, due giorni dopo, a “consigliare“ di realizzare il ballottaggio nonostante i risultati ufficiali dessero Morales avanti di oltre 10 punti su Mesa (e quindi vincitore al primo turno) e prima ancora di accettare la proposta di Morales di un audit elettorale.

Nelle ultime settimane sono stati diffusi almeno due studi, la cui esistenza è stata sistematicamente snobbata dal mainstream. Il primo è intitolato Evidenze contro la tesi che i voti fraudolenti siano stati decisivi nelle elezioni del 2019 in Bolivia ed è del ricercatore dell’Università di Michigan, Walter Mebane, uno dei maggiori esperti a livello mondiale sul tema delle frodi elettorali, e l’altro è del Center for Economic and Policy Research (CEPR) intitolato “¿Qué sucedió en el recuento de votos de las elecciones de Bolivia de 2019?”. In entrambi i casi si evidenzia come l’Osa abbia mentito sui brogli elettorali e sulla consistenza delle “irregolarità”, dimostrando che in nessun modo alterano la tendenza espressa dal conteggio veloce, poi confermata da quello manuale, di un vantaggio di Morales su Mesa superiore al 10 per cento. Allo stesso modo si evidenzia l’uso politico di processi elettorali da parte della stessa Organizzazione degli stati americani, per destabilizzare governi invisi a Washington o per favorire gli alleati, come nel caso dell’Honduras.

Le mosse dell’Osa e del suo segretario generale hanno infatti contribuito in modo determinante a incendiare ulteriormente l’ambiente e ad allontanare qualsiasi possibilità di ricomposizione pacifica del conflitto. Il far credere che Morales e il governo avessero portato a termine una colossale frode elettorale è servito non solo a scatenare la destra razzista, classista, misogena e omofoba, ma anche a trascinare parte del movimento sociale e popolare che da tempo cova un forte malessere nei confronti di Morales, del suo governo e del MAS, sia per la decisione di candidarsi per la quarta volta nonostante il risultato negativo di un referendum ad hoc, sia per il mancato distanziamento da politiche estrattiviste e la difficile relazione avuta negli ultimi anni.

L’insediamento della Añez e le sue prime decisioni – rottura diplomatica con il Venezuela, persecuzione ed espulsione di medici e cittadini cubani, persecuzione dei giornalisti che raccontano ciò che sta davvero accadendo in Bolivia, sostituzione dei vertici dell’esercito e della polizia, uscita dall’ALBA e, probabilmente, dalla UNASUR, revoca dell’incarico all’80 per cento degli ambasciatori sparsi per il mondo, non procedibilità per militari e poliziotti che si macchiano di reati durante la repressione di questi giorni e persecuzione di deputati accusati di sedizione – hanno il solo obiettivo di legittimare il golpe con una facciata pseudo democratica da sdoganare a livello internazionale. I dati dell’offensiva golpista sono raccapriccianti: 24 morti, 542 feriti, 624 arresti (Defensoría de Bolivia).

Stati Uniti, Brasile, Colombia, Guatemala, Regno Unito sono stati i primi paesi a riconoscere la fake-presidente Añez. Più accorta e ambigua la posizione di Russia e Unione Europea (Mogherini). Rifiuto assoluto e condanna del colpo di stato da parte di Cuba, Messico Nicaragua, Uruguay e Venezuela.

Un colpo di stato, quindi, non improvvisato ma studiato nei minimi dettagli che ricorda quanto avvenuto in Nicaragua lo scorso anno, anche se in contesti diversi e con esiti differenti. Un colpo di stato annunciato da tempo in diverse pubblicazioni di media non allineati con Washington (“Il piano degli Stati Uniti contro la Bolivia” Parte 1 e Parte 2) e dallo stesso Morales. Un golpe che ha lo scopo di porre fine al progetto di trasformazione della Bolivia plurinazionale e di mandare messaggi chiari al resto dell’America latina e a quei governi che ancora non si piegano agli interessi di Washington. Per capire ciò che sta accadendo non possiamo non analizzare la complessità geopolitica e geostrategica dei fatti, gli interessi in gioco per il Comando Sur e i movimenti che imperi come Russia e Cina stanno facendo nel continente latinoamericano..

Non tutto è comunque perduto. A favore o no di Morales, le popolazioni indigene degli altopiani hanno detto no alla farsa di Añez e del suo governo illegale, illegittimo e inesistente e si sono messe in cammino verso la capitale. Dopo i ripetuti oltraggi alla wiphala la richiesta che echeggia nelle marce e nelle concentrazioni multitudinarie è la rinuncia immediata di Añez e del suo governo.  Dal Messico, Evo Morales, a tutti gli effetti presidente in carica dato che la sua rinuncia non è ancora stata discussa né accettata dal Parlamento, chiama al dialogo ampio per riappacificare la Bolivia.

Nelle zone rurali si fanno barricate, blocchi stradali e dopo il massacro di Sacaba sono partite nueva marce da Potosí ed altre zone del paese. La Paz potrebbe presto rimanere isolata e il rischio di nuovi massacri è latente. Difficile fare ipotesi su cosa potrebbe accadere la prossima settimana, ma la possibilità del fallimento del progetto golpista non è un’utopia.

Solidarietà

Durante l’attività a L’Avana, si è analizzata in profondità la lotta per l’indipendenza di Portorico, la situazione di aggressione ed embargo imposto al Venezuela, il fallito colpo di stato in Nicaragua e altri processi come quello in Palestina. A tal fine, Martha Flores ha detto che non c’è stata esitazione alcuna nel differenziare le rivolte popolari in Ecuador, Cile, Haiti e Honduras dai tentativi di colpo di stato in Bolivia, Nicaragua e Venezuela. Ha inoltre sottolineato la doppia morale di organizzazioni multilaterali come l’Osa e la Cidh.

“Perché non hanno la stessa belligeranza nel condannare le uccisioni e le massicce violazioni dei diritti umani in Cile ed Ecuador, come non l’hanno avuta, alterando e manipolando dati e situazioni, per il Nicaragua e il Venezuela?”.

Un tema su cui si è lavorato molto è quello della necessità di rompere l’assedio informativo e contrapporsi alla politicizzazione e manipolazione mediatica di questioni chiave come la difesa dei diritti umani e l’ambiente. C’è stato anche una elemento trasversale, diventato poi il fulcro dell’incontro, che è il ruolo del governo degli Stati Uniti e la sua logica di “forza e potere” nell’intervenire e nell’imporre un modello in aperta violazione dei diritti dei popoli.

Piano d’azione

Per il prossimo anno è stato tracciato un percorso e definito un piano d’azione che coinvolgerà le organizzazioni, i movimenti, i partiti politici, le reti e i comitati in tutto il continente, che tra le tante iniziative, comprende anche una giornata di lotta antimperialista in marzo e una mobilitazione antimperialista a livello globale a maggio.

“Nessun settore da solo può fare cambiamenti strutturali. Dobbiamo raccogliere le volontà sparse in funzione di obiettivi comuni, ciascuno mettendo in evidenza le cose che ci servono per raggiungere questi obiettivi che sono trascendentali. E’ un momento storico in cui tutti insieme, movimenti sociali, popolari, i partiti politici, le reti e i comitati possiamo produrre cambiamento. In questo senso è necessario che tanto i partiti quanto i movimenti capiamo che se non lavoriamo insieme non potremo mai raggiungere una vera trasformazione”, ha concluso Flores.

Di Giorgio Trucchi | Altrenotizie

Traduzione: Giuliana Mattone