Se vuoi annegare l’ALBA accusala di avere la rabbia
Offensiva contro il progetto di cooperazione politica, sociale ed economica tra i paesi dell’America latina e i paesi caraibici
Managua, 5 febbraio (Mémoire des Luttes | LINyM)
In un discorso pronunciato il 1° novembre dalla “Freedom Tower”, simbolo dell’esilio cubano a Miami, l’assessore della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, John Bolton, ha fatto riferimento a una “troika della tirannia” e a un “triangolo del terrore” parlando di Cuba, Nicaragua e Venezuela, i tre membri dell’Alleanza bolivariana dei popoli della Nostra America, Alba. Come conseguenza dell’investitura di Nicolás Maduro il 10 gennaio, data dell’inizio del suo secondo mandato, è principalmente verso Caracas che la “comunità internazionale” volge il suo sguardo.
Sulla stessa linea d’onda di Washington, il Segretario generale dell’Organizzazione degli Stati Americani, Osa, Luis Almagro, ha convocato una sessione straordinaria per affrontare la situazione in quel paese, con la speranza, fino a ora mille volte disillusa -per mancanza del quorum necessario- di poter applicare sanzioni al Venezuela.
Come preambolo, il 4 gennaio, i tredici paesi “pro Washington” che fanno parte del Grupo de Lima[1], sponsorizzati via videoconferenza dal Segretario di stato nordamericano Mike Pompeo, dalla capitale peruviana avevano confermato che non avrebbero riconosciuto il nuovo mandato di Maduro.
Una decisione priva di legittimità che il Messico, membro fino ad allora del “cartello” che però recentemente aveva virato verso il centro sinistra dopo le elezioni di Andrés Manuel López Obrador (AMLO), ha rifiutato di avallare. Un’azione denunciata anche da Cuba, Nicaragua e Bolivia -membri dell’ALBA-, dal governo uruguaiano (di centrosinistra) e dai movimenti sociali latino americani. Il 10 gennaio la Osa l’ha però approvata con 19 voti a favore, 6 contrari, 8 astensioni e una assenza.[2]
Anche se meno evidente, l’offensiva messa in atto da Washington e dalla destre del continente rappresenta una seria minaccia anche per il Nicaragua sandinista. Come già accaduto nel 2015 con Barack Obama, in quel caso contro Caracas, il presidente statunitense Donald Trump ha firmato il 27 novembre 2018 un assurdo “ordine esecutivo” nel quale si dichiara che il governo nicaraguense rappresenta una “minaccia alla sicurezza nazionale” degli Stati Uniti.
Il 20 dicembre viene approvata la legge che condiziona gli investimenti in Nicaragua, una legge portata avanti da due anni e mezzo dall’élite dei neocon (nuovi conservatori) statunitensi: la congressista di origine cubana Ileana Ros-Lehtinen, i senatori Ted Cruz, Marco Rubio (anche loro repubblicani) e Bob Menéndez (democratico).
Approvata all’unanimità dal Senato e dalla Camera dei Rappresentanti, la “Nica Act” autorizza sanzioni contro figure di spicco del Fronte sandinista di liberazione nazionale, Fsln, tra cui il presidente Daniel Ortega e la moglie, la vicepresidente Rosario Murillo, e ha come obiettivo quello di limitare l’accesso del Nicaragua ai prestiti internazionali.
L’analista economico José Vélez Morgan ha sintetizzato con gran entusiasmo, durante un programma critico nei confronti del governo, le conseguenze che queste misure avranno per il paese se Daniel Ortega continuerà a rifiutarsi di cedere il potere, con il capo cosparso di cenere e il cappio al collo: una perdita pari a 1.720 milioni di dollari della Banca mondiale e della Banca interamericana per lo sviluppo, Bid.
Per quanto riguarda la Banca mondiale, 646 milioni di dollari sono destinati (o erano destinati) al finanziamento di quattro grandi progetti: la velocizzazione del processo di legalizzazione della proprietà della terra per aumentare gli investimenti; la prevenzione dei rischi sanitari nei 66 municipi più poveri del paese; l’educazione, attraverso la costruzione di scuole e la formazione dei docenti; l’apertura di strade e vie d’accesso per collegare le zone rurali più isolate con i principali centri urbani sviluppati; e un programma di sicurezza alimentare per le comunità della costa dei Caraibi.
Il BID, invece, deve (o doveva) finanziare 1.070 milioni di dollari “nell’area dei trasporti, della salute, dell’energia, dell’accesso all’acqua e delle strade, dell’integrazione regionale, della scienza e tecnologia, dello sviluppo della piccola e media impresa e della modernizzazione dello Stato.”
Vélez Morgan e Confidencial possono quindi stare allegri “le aziende che prima lavoravano con lo Stato e hanno tratto profitto da questi investimenti possono tranquillamente vendere le loro attrezzature e macchine ai paesi vicini, gli affari sono finiti[3].
“Fantastico, no? Soprattutto perché, per cercare di porre rimedio al disastro che incide sullo sviluppo del paese, a scapito degli abitanti più poveri, l’amministrazione nordamericana ha annunciato l’invio di 4 milioni di dollari alla “società civile” e alle organizzazioni non governative (ONG), attraverso l’Agenzia internazionale per lo sviluppo, USAID e alla Fondazione per la Democrazia, NED[4].
L’11 gennaio, Luis Almagro ha convocato una sessione straordinaria del Consiglio permanente dell’Osa, giusto il giorno dopo la sessione altrettanto “straordinaria” sul Venezuela, per cercare di applicare la Carta Democratica a Managua, un processo che potrebbe portare alla sospensione dall’organizzazione.
Senza voler raccontare tutta la storia del conflitto che ha incendiato il Nicaragua dalla metà di aprile fino alla fine di luglio 2018, vale la pena ricordarne alcuni episodi significativi, perché la maggior parte della nobile casta mediatica sembra aver dimenticato da tempo il significato della parola “contestualizzare”.
Contestualizzare gli eventi
Il 18 aprile, furono gli studenti a lanciare le prime manifestazioni di protesta contro la riforma dell’Istituto nicaraguense per la previdenza sociale, Inss, che colpiva i pensionati, i lavoratori e, ancor di più, i datori di lavoro. Resosi conto delle dimensioni del rifiuto, il governo ritirò alcuni giorni dopo il decreto. Non dimentichiamoci, però, uno dei principali peccati commessi dallo stesso governo (per quelli che agiscono nell’ombra): durante le discussioni sulla riforma dell’Inss, al finale delle quali sono state prese le misure poi impugnate, si decise di optare per una soluzione non tra le migliori possibili, ma in ogni caso intermedia, rifiutando di seguire per filo e per segno le raccomandazioni “chirurgiche” del Fondo monetario Internazionale, Fmi, che sarebbero risultate infinitamente peggiori e brutali per la popolazione[5].
È proprio in quel momento che un’eterogenea Alleanza Civica, con il Consiglio superiore dell’impresa privata, Cosep, nascosto dietro la facciata degli studenti “autoconvocati”, più inclini a causare simpatia, composta da settori ognuno con la propria agenda politica, improvvisamente esige -dimenticandosi dell’Inss- “la rinuncia di Ortega”. Intanto la situazione nelle strade peggiora. Colpi d’arma da fuoco e mortai artigianali, incendi, barricate ( i “tranques”), saccheggi, distruzione di edifici pubblici e privati: la violenza di un’insurrezione, che non è né “studentesca”, né “pacifica”, né “spontanea”, causa tante vittime sia civili che tra la polizia quanto la repressione conseguente. Senza però che i cani da guardia dei mezzi di comunicazione si commuovano. Viene sistematicamente eliminata qualsiasi voce che devia dalla narrativa “ufficiale”.
Sciopero generale!
Nel parco industriale del municipio di Tipitapa, vicino a Managua, “loro [gli “oppositori pacifici”] sono entrati sparando con mortai e hanno ordinato ai lavoratori di andarsene, altrimenti avrebbero dato fuoco alla fabbrica” dice Pedro Ortega, membro della direzione nazionale della Central sandinista dei lavoratori, Cst. “Nell’impresa, il 60% sono donne ed erano terrorizzate per la presenza dei mortai e di persone incappucciate.”
Perdonatemi se cito questo sindacalista: Pedro Ortega, che non ha vincoli famigliari con il Capo di Stato, non è né un “membro dell’apparato” né un “intermittente del Nicaragua”[6].
Negli anni 90, quando l’abbiamo conosciuto, lottava con coraggio nelle fabbriche di outsourcing americane e asiatiche che arrivavano nel paese, grazie alla destra -le “maquilas”, come Segretario generale della Federazione tessile, abbigliamento, cuoio e pelli della Cst. Le autorità e i lavoratori delle zone franche lo accusarono personalmente di “organizzare una cospirazione internazionale e di voler destabilizzare il Nicaragua”[7]”. Ora è lui che denuncia: “Gli oppositori violenti non hanno nessuna influenza nel movimento sindacale e dei lavoratori, non posso bloccare la produzione. Questa è la ragione per cui intervengono con le armi, minacciano i dirigenti e li obbligano a chiudere le fabbriche delle aree industriali.”
Ci racconta anche la storia di una rivolta di operai all’interno di una fabbrica nella regione di Masaya: “A Masatepe, una quarantina di persone incappucciate, con mortai, hanno cercato di destabilizzare la fabbrica. Che cos’è successo? I lavoratori, in modo spontaneo, hanno deciso di difendere e circa trecento di loro hanno respinto quella quarantina di persone che voleva fare lo stesso a Tipitapa. Anche se quelli hanno attaccato con i mortai sono stati cacciati dai lavoratori che avevano solo delle mazze. Questa è stata la risposta alle azioni di destabilizzazione il cui unico scopo era di paralizzare il lavoro, i lavoratori invece volevano solo la pace [8].”
Allo stesso modo anche il giornalista Giorgio Trucchi, internazionalista di origine italiana e attivista che vive in Nicaragua, eccellente reporter del colpo di Stato contro Manuel Zelaya nel 2009 in Honduras, dei successivi brogli elettorali che hanno permesso di consolidare il crimine, così come delle lotte sociali in tutta l’America Centrale, crede che la situazione sia inequivocabile: “Questa “insurrezione” non è stata né pacifica, né spontanea, né autoconvocata.”
Guarimbas e tranques
Qualsiasi persona che abbia seguito da vicino l’offensiva continentale di Washington si sarà accorta delle similitudini con le manifestazioni estremamente brutali avvenute in Venezuela tra il 2014 e il 2017, chiamate “guarimbas” e il cui unico scopo era quello di cacciare Maduro.
Questa relazione ovvia risulta particolarmente scomoda per i gruppi di sinistra antisandinisti che fanno obiettivamente il gioco di Washington nel momento in cui difendono le peggiori accuse che dalla capitale USA rivolgono al governo del Nicaragua. Chissà che equilibrismi devono fare per cercare di chiarire la loro posizione: “Fin dall’inizio della crisi, l’uso da parte di fonti ufficiali del termine “guarimba”, noto in Venezuela ma completamente sconosciuto in Nicaragua, ha come obiettivo quello di convincere potenziali sostenitori esterni della relazione del governo con il blocco dei cosiddetti paesi progressisti attaccati con l’uso della forza dalla destra appoggiata dall’imperialismo statunitense[9].”
Quando si parla di manipolazione, francamente c’è un modo più intelligente di farla! Seguendo la stessa logica, una composta cucinata in Europa non avrebbe niente a che spartire con una preparata in America Latina prendendo come spunto il fatto che la frutta che viene usata si chiama mela qui e manzana là. La guarimba venezuelana si chiama tranque in Nicaragua. In entrambi i casi il controllo delle strade e le barricate di natura insurrezionale fanno parte di un modus operandi che ha come scopo quello di cacciare il Capo di Stato.
Il 16 maggio, mentre ci sono varie decine di morti e centinaia di feriti, si apre un “dialogo nazionale” -le dimissioni della coppia Ortega-Murillo diventa l’obiettivo “non negoziabile” dell’opposizione- con gli auspici e la “mediazione” della Chiesa Cattolica. Dei Servi di Dio privi di senno sono difficili da immaginare. Ma, visto che le vie del Signore sono infinite, la verità viene sempre a galla. Quello che oggi sappiamo dell’atteggiamento dei prelati ci obbliga a ricordare le parole di San Matteo e il racconto di un episodio in cui il suo amico Gesù perse la pazienza: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all’esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. Così anche voi apparite giusti all’esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d’ipocrisia e d’iniquità.”
Lo scandalo scoppia grazie al vescovo ausiliare della Diocesi di Managua, Monsignor Silvio Baez. In una conversazione privata con un gruppo di leader contadini, registrata di nascosto da uno dei partecipanti e resa pubblica dalla comunità cristiana di San Paolo Apostolo, della Colonia 14 Settembre, all’est di Managua, confermò in modo cinico i vincoli diretti tra la gerarchia ecclesiastica e il sanguinoso tentativo di destabilizzazione. Come si suol dire, qualcosa “di grosso”[10]…
“Ci verrebbe voglia di mettere [il presidente Daniel] Ortega al muro e sparare”. E poi chiamando in causa l’Alleanza Civica, la colonna vertebrale della rivolta, un’ondata di narcisismo lo sommerge: “Siamo stati noi vescovi a creare l’Alleanza. Se esiste è perché l’abbiamo voluta e l’abbiamo costruita”. Magari fosse la versione della Genesi che attribuiva la sua creazione agli studenti. Bisogna però andare un po’ più in là e addirittura vendere l’anima al diavolo per raggiungere l’obiettivo finale: “la UNAB [Unità Nazionale Azzurra e Bianca, nata in ottobre] deve includere tutti gli oppositori del governo, non importa se sono opportunisti, a favore dell’aborto, omosessuali, tossicodipendenti o narcotrafficanti” Perché non bisogna avere dubbi: “i “tranques” sono stati una straordinaria invenzione”.
Inutile negarlo: è da entrambi i lati delle barricate che si sono registrati il maggior numero di morti e feriti. Per questo bisogna ringraziare gli Stati Uniti “per aiutarci” come ha detto Baez, indicando l’orizzonte: “Dobbiamo insistere ancora affinché il governo chieda alla Conferenza Episcopale di riaprire il dialogo. Esiste un piano per riattivare i “tranques”di nuovo.” Con l’obiettivo di imporre elezioni anticipate o…il rovesciare in modo violento il governo di Ortega.
Il giorno dopo che questa registrazione venne fatta filtrare, ci fu un primo lungo e doloroso silenzio. Poi, nel modo più cristiano e illuminato possibile, il Cardinale Leopoldo Brenes ha dovuto confermare che la voce era proprio quella del Vescovo Baez, registrata durante una riunione “molto privata” e che “purtroppo qualcuno aveva reso pubblica.”
Errore di analisi? eccesso di confidenza? troppo ingenuo? Il governo sandinista può essere accusato di gravi errori con conseguenze ancor più gravi. Durante il dialogo mediato dai supposti mediatori della Chiesa, legati a doppio filo con l’opposizione, si propose all’inizio di maggio che, per far cessare le violenze, la polizia si ritirasse nelle caserme, si ritirasse dalle strade e in cambio si sarebbero tolte le barricate. Il governo accettò dando prova di buona volontà. Non è stata una buona idea per nessuno. I radicali dell’opposizione approfittarono in modo cinico dell’assenza totale e prolungata delle forze di sicurezza. Man mano che la polizia abbandonava il controllo dei luoghi pubblici, non solo non sparivano i “tranques” e i controlli lungo le strade, ma invece si moltiplicavano fino a paralizzare il paese. Da questi luoghi violenti dove la presenza di studenti era ormai completamente marginale, iniziò una campagna di terrore contro il sandinismo e i sostenitori del governo a Managua, Granada, Leon e Masaya.
Interi quartieri vennero presi in ostaggio da militanti armati e delinquenti prezzolati (esattamente come in Venezuela durante i periodi già citati), cosa, questa, che portò semplici cittadini, organizzazioni sindacali e membri radicali della Gioventù sandinista, forti della tradizione della lotta armata contro la dittatura di Somoza e poi dei “contra” e difficili da sottomettere, ad organizzarsi per recuperare i cosiddetti “territori liberati”.
Non ci fu quindi un intervento di “paramilitari” -termine che oggi viene utilizzato in modo indiscriminato per ingannare l’opinione pubblica, sia in Venezuela che in Nicaragua- ma l’inizio di una “guerra civile”, nella migliore tradizione nicaraguense, con spargimento di sangue da entrambe le parti. E il consenso sia delle autorità, che decidono di far uscire la polizia dalle caserme per azioni organizzate, sia di quelli che reggono i fili dell’opposizione e che non promettono niente di buono.
Come in Venezuela, molti rappresentanti dell’opposizione nicaraguense non sono né fascisti né sanguinari. Quelli che in un momento o nell’altro sono stati presenti sulle barricate non si possono incolpare di aver commesso un crimine. Però non sono stati loro a condurre le danze anche se convivevano con autentici criminali, i responsabili del caos. “Non possiamo nascondere il sole con un dito, non possiamo più mentire e continuare a dire che non siamo armati” afferma, come chiaro appello “a preparare l’offensiva finale contro l”orteguismo”, “El Burro”, leader di una delle bande di delinquenti che hanno seminato il terrore a Masaya: “Gli Zeta di Monimbo”.
Un’analisi dei telefoni cellulari e dei computer delle persone attualmente agli arresti -“i prigionieri politici del regime”- dimostra come il centinaio di “tranques” alzati in tutto il paese erano collegati tra loro e coordinati dai leader dell’opposizione: Medardo Mairena, Pedro Joaquín Mena o Francisca Ramírez[11], finanziati dalle ONG dei “diritti umani” come Hagamos Democracia, a sua volta finanziata dalle “sovvenzioni” degli Stati Uniti.
La copertura mediatica data alla crisi alla fine non è stata né troppo velata né precisa, con una grande fazione del “giornalismo” che ha preso l’abitudine di ignorare la parte della realtà che non corrisponde ai suoi dogmi e alle sue scelte. Quindi è assai complicato orientarsi quando si parla del numero di “vittime della repressione”. Il 9 luglio per esempio, due ONG molto credibili hanno annunciato 251 morti (Centro nicaraguense dei diritti umani; Cenidh) e 309 morti (Associazione nicaraguense per i diritti umani; ANPDH). A eccezione di 50 morti, la stessa stima. Il 24 luglio, Amnesty International informa che “gruppi armati della polizia o del governo” ha ucciso “quasi 300 persone”. La Croix [giornale cattolico francese NdT] l’11 settembre parla di 500 morti evidentemente folgorato dalla sindrome della moltiplicazione dei pani e dei pesci.
Possiamo ipotizzare che i vescovi nicaraguensi siano passati a fare una visita e che l’abbiano fatta anche alla sede del Comitato cattolico contro la fame e per lo sviluppo, Ccfd, un tempo più ispirato e oggi assai presente nella campagna antisandinista in Francia. A ognuno i suoi visitatori: gli imprenditori “nica” dovevano per forza occuparsi del settimanale Le Point. Infatti, il 29 luglio, anche quest’ultimo riportava 500 morti. Il 9 agosto però, dopo un controllo incrociato e una correzione di dati dovuta alle variazioni stagionali e delle giornate lavorative, ha ridotto la cifra a 448. Senza alcun preavviso il Diario Las Americas, un quotidiano di estrema destra moderata di Miami che alla fine risulta essere forse il più esatto scrive: “le vittime sono tra le 332 e le 512”. Senza cedere di fronte all’escalation della destra, Le Monde Diplomatique, nel numero di ottobre si limiterà ad annunciare “tra i 300 e i 400 morti”.
Il ballo delle cifre
Oltre a questa valanga di cifre, particolarmente rigorose, ci piacerebbe aggiungere quelle che non abbiamo letto da nessun altra parte. Secondo il governo nicaraguense infatti, né più né meno credibile dei suoi avversari, la crisi avrebbe causato “solo” 197 morti tra il 19 aprile e il 25 luglio, tra di loro 9 studenti. Non dobbiamo per forza crederci però, attraverso prove inconfutabili, è stato dimostrato che l’opposizione e le ONG locali, ovvero i “difensori dei diritti umani”, hanno aggiunto alla lista delle vittime 253 morti per omicidio, delitti comuni, incidenti automobilistici, suicidi con lo scopo di manipolare l’opinione pubblica nazione e internazionale attraverso i principali mezzi di comunicazione[12].
Ventidue ufficiali di polizia e molti attivisti sandinisti sono stati assassinati in alcune occasioni anche torturati e/o bruciati vivi. Tra i 1.240 feriti ci sono 401 membri delle forze dell’ordine, tra cui varie decine di vittime di armi da fuoco. In altre parole: i metodi utilizzati dall’opposizione venezuelana durante le “guarimbas” del 2014 e del 2017, e la loro ingannevole interpretazione della stampa internazionale, sono stati adottati con successo anche in Nicaragua.
Soffermiamoci brevemente sul formidabile “balletto di ipocrisia” che osserviamo nell’attualità dei mezzi di comunicazione politici.
Dopo il “VI atto” delle mobilitazioni dei “gilet gialli”, Le Monde ha pubblicato un editoriale indignato: “Anche se non si sono avuti scontri del livello di violenza vissuto a Parigi all’inizio del mese, questo “VI atto” ha visto una serie di eccessi completamente inaccettabili. Nei Campi Elisi, sabato pomeriggio, quattro moto della polizia sono state attaccate e i sindacati hanno parlato di un “tentativo di linciaggio”. (…) Venerdì sera, durante una manifestazione dei “gilet gialli” a Angoulême (Charente), un pupazzo con l’effige del Presidente della Repubblica è stato decapitato. (….) Dal suo account Twitter, Edouard Philippe ha denunciato una simulazione di decapitazione del Capo dello Stato (…) attacchi di una violenza senza precedenti contro gli agenti di polizia”.
Per caso abbiamo sentito le stesse persone, la stampa, i simpatizzanti di Macron e Matignon, preoccuparsi, indignarsi, condannare, dare segni di vita quando il 4 agosto, a Caracas c’è stato un tentativo di omicidio molto reale, quello del presidente venezuelano Maduro, con dei droni carichi di esplosivi? Niente di niente! È vero che l’opposizione di quel paese è “straordinariamente democratica!” e che “i leader estremisti -Antonio Ledezma, Freddy Guevara- vengono accolti all’Eliseo, il quale condanna la “dittatura” bolivariana e appoggia le sanzioni applicate dall’Unione Europea. Però, quando i vicepresidenti del governo italiano Di Maio e Salvini appoggiano la rivolta dei “gilet gialli”, gli intima di non “interferire in questioni interne” della Francia!
Anche se in alcune circostanze causano esplosioni di violenza molto forti, le manifestazioni in Francia, fino ad ora, non hanno causato la morte di nessun agente di polizia, cosa che dobbiamo accogliere con soddisfazione. Il ’Nouvel Observateur’ però in un “editoriale” del 9 gennaio del 2019 titola: “Gilet gialli: il compiacimento colpevole di fronte alla violenza”, e dietro il coro di tutti i politici, dei giornali, della radio e della televisione.
In Venezuela, durante le “guarimbas”, nove membri delle forze di sicurezza sono stati assassinati con arma da fuoco nel 2014 e sette nel 2017 (ai quali bisogna aggiungere i 500 poliziotti feriti, tra di loro 21 con armi da fuoco). In Nicaragua, come abbiamo visto, 22 tra uomini e donne delle forze di sicurezza sono caduti vittime di proiettili mortali, varie decine sono rimasti feriti colpiti da uomini armati.
Anche in Francia, come a Masaya durante il mese di giugno, abbiamo visto un vice commissario della polizia nazionale, Ramon Avellan, e i suoi uomini, barricati nel loro commissariato, circondati da barricate e costretti a due settimane di fuoco di mortai mentre i manifestanti gli urlavano: “Se vi arrendete avrete salva la vita!”. Però quando questi governi cercano di ristabilire l’ordine vengono immediatamente condannati dagli Stati Uniti -la più grande democrazia del mondo dove si vendono liberamente fucili di precisione con mirini telescopici-, da Bruxelles, da Parigi e dai giornalisti delle virtuose redazioni che poi si sorprendono, con grande sfacciataggine, di essere sempre più “odiati”.
In ognuno di questi paesi latinoamericani, durante e dopo le ondate di violenza, le autorità hanno ricercato, arrestato e condotto a processo persone ritenute colpevoli di delitti e crimini gravi. Circa 300 in Nicaragua condannati per devastazione, incendio, lesioni, tortura, omicidio, ecc.. Come in qualsiasi posto in cui esista una crisi di queste dimensioni nessuno può scartare la possibilità che questa ondata di repressione sia caratterizzata anche da arresti arbitrari o ingiustificati. Gli osservatori “in buona fede” devono vigilare e hanno tutto il diritto di denunciare i casi evidenti di abusi. Però, per favore, che i mezzi di comunicazione politicizzati si astengano dal gridare allo scandalo!
Dall’inizio del movimento dei “gilet gialli” e fino al 10 gennaio, 6.475 manifestanti sono stati arrestati dalla polizia. Tra di loro, ben 5.339 persone sono sotto custodia della polizia e tra questi circa 1.500 “preventivamente” prima delle mobilitazioni dell’8 dicembre. Un record che, in un contesto mille volte più esplosivo non è stato raggiunto né dal Venezuela né dal Nicaragua.
Il 20 dicembre, il Gruppo di lavoro per il Nicaragua, composto da dodici paesi membri dell’Osa, hanno condannato la decisione presa da Managua di espellere il Gruppo interdisciplinare dei esperti indipendenti, GIEI, e il Meccanismo speciale di monitoraggio per il Nicaragua, Meseni, la cui missione era stata autorizzata in accordo con la Commissione interamericana dei diritti umani, Cidh, anch’essa dipendente dall’Osa. Gli esperti del GIEI avrebbero dovuto presentare una relazione di 485 pagine, il risultato di sei mesi di “indagini” sulla violenza commessa tra il 18 aprile e il 30 maggio. Presentazione puntualmente avvenuta a Washington, nella quale hanno annunciato 325 “omicidi” e hanno accusato il governo di “crimini contro l’umanità” (omicidi, detenzioni arbitrarie, persecuzioni) e naturalmente deliziano Luis Almagro.
Dire che queste indagini, contestate in modo veemente da Managua, siano state realizzate con rigore scientifico è quanto meno questionabile. Secondo gli stessi funzionari del GIEI, sono state intervistate le famiglie delle vittime, “sopravvissuti della repressione”, esiliati, però soprattutto “fonti aperte”: ovvero articoli di giornali (dell’opposizione) e una “rigorosa” analisi delle fotografie, più di tre milioni di tweet e diecimila video pubblicati dall’opposizione sui social network[13]. Un’evidente garanzia di imparzialità.
A dicembre, l’Assemblea Nazionale del Nicaragua ha revocato la personalità giuridica a nove ONG, tra cui il Centro nicaraguense per i diritti umani ,Cenidh, il Centro per l’Informazione e la consulenza della sanità, Cisas, Hagamos Democracia e l’Istituto degli studi strategici e delle politiche pubbliche, Ieepp, per la loro partecipazione nel tentativo di “colpo di Stato”, che chiameremo “destabilizzazione” o “tentativo di rovesciamento del Capo di Stato”, visto che in questa operazione non ha partecipato nessun organo dello Stato (Assemblea Nazionale, potere giuridico, polizia nazionale, esercito). Questa serie di misure ha provocato indignazione e ha rafforzato le accuse di “dittatura”.
Pioggia di finanziamenti
Facciamoci due risate: queste decisioni sono state prese in conformità con la Legge delle ONG 1427 approvata nel 1992 dal governo conservatore di Violeta Chamorro per regolare le attività delle organizzazioni che ricevono un finanziamento internazionale!
Il finanziamento di cui parliamo oggi non è innocente. Durante il periodo 2010-2020, la USAID, cioè Washington, ha assegnato più di 68 milioni di dollari agli “amici” nicaraguensi, quantità alla quale si aggiungono i 7.995.022 dollari nel 2016 per un “programma di rafforzamento dei mezzi di comunicazione”. Per realizzare questo progetto la Fondazione Violeta Barrios de Chamorro (che porta il nome della ex-presidente di destra) ha ricevuto da sola 2.530.000 dollari[14]. Da parte sua la NED sta elargendo tutti i suoi biglietti verdi principalmente ai “clienti” Hagamos Democracia (525.000 dollari dal 2014) e Ieepp (260.000 dollari durante lo stesso periodo)[15]. Dubitiamo, vista la natura del mittente e il suo curriculum, si tratti di soldi destinati al raggiungimento della pace e della giustizia sociale in Nicaragua.
Il conflitto tra i governi progressisti e la stampa dell’opposizione sono noti da tempo: in Venezuela con Hugo Chávez e Nicolás Maduro, in Ecuador (Rafael Correa), in Bolivia (Evo Morales) o in Argentina (Nestor e Cristina Kirchner). Il Nicaragua non è un eccezione. Il 14 dicembre la polizia irrompe nei locali del Confidencial, un mezzo di comunicazione online diretto da Carlos Fernando Chamorro, figlio della ex presidente il cui sogno è quello di succederle a distanza di qualche decennio. Principale portavoce della destra questo “giornalista indipendente”, modesto proprietario di “alcuni” mezzi di comunicazione della carta stampata, online e della tv -La Prensa, Hoy, Confidencial, Esta Noche, Esta Semana (aziende dove non è mai stata autorizzata la presenza di sindacati)-, del Centro di ricerca della comunicazione, Cinco e della Fondazione Violeta Barrios de Chamorro, ha beneficiato da molti anni ormai della generosità disinteressata della NED.
Sono finiti anche sotto i riflettori Miguel Mora, proprietario del canale via cavo 100% Noticias (“100% News”, ribattezzato “100% Mentiras”) accusato verso la fine di dicembre di “cospirazione e terrorismo”, e la direttrice, Lucia Pineda, accusata di “provocazione, incitazione e cospirazione al fine di compiere atti terroristici”.
Durante le rivolte dagli studi del canale si incitava a “occupare il Carmen”, la sede del FSLN e residenza del Presidente della Repubblica. Intervistato a luglio dal giornalista nordamericano Max Blumenthal rispetto a come risolvere la crisi, Mora chiese di far arrivare un suo messaggio a Trump: “Sarebbe il caso che gli Stati Uniti realizzino un’operazione tipo quella con Noriega a Panama[16]. Vengono qui, prendono la famiglia [Ortega], li sequestrano senza bisogno che intervenga l’esercito. In pochi giorni o in ventiquattro ore si risolverebbe tutto.”
Fino a prova contraria, esattamente come in Venezuela, l’opposizione nicaraguense non può contare su un ampio appoggio popolare e nemmeno con quello dell’esercito. Una parte fondamentale della sua lotta quindi si sviluppa al di fuori dei confini. Ma è necessario rastrellare a fondo per ottenere l’appoggio della “comunità internazionale”, per questa ragione tre leader del Movimento Studentesco del 19 aprile (ME19A) -ovvero il primo gruppo a occupare il campus dell’Università Politecnica del Nicaragua (UPOLI) il 19 aprile- partecipano alla 48° sessione dell’Assemblea Generale dell’Osa, tenutasi a Washington dal 3 al 5 giugno, alla presenza del Segretario di Stato nordamericano Mike Pompeo.
Inoltre si riuniscono con i volti più noti degli “ultras” del Congresso degli Stati Uniti, Marco Rubio, Ted Cruz, Ileana Ros-Lehtinen, e vengono ricevuti da alti funzionari del Dipartimento di Stato e dell’USAID. “Il viaggio è stato finanziato dagli Stati Uniti” [attraverso Fredoom House, un gruppo conservatore legato alla NED], denuncia un oppositore che diceva di essere di sinistra, lo studente di sociologia dell’Università Centroamericana (UCA) Harley Morales, “e, quel che è peggio, l’agenda è stata imposta La Fondazione ha selezionato gli studenti che avrebbero partecipato[17].”
La sinistra europea e il suo labirinto
Questo per quel che riguarda la destra e gli Stati Uniti. Per quel che riguarda l’Europa si è decisa una strategia che puntasse essenzialmente…verso sinistra; come ha ingenuamente affermato la sociologia Yerling Aguilera, membro della carovana della solidarietà internazionale composta da tre attivisti che viaggiavano attraverso i paesi dell’Unione Europea durante lo stesso periodo: “In primo luogo, conosciamo i vincoli storici che esistono tra i movimenti di sinistra in diverse città europee e il governo del Nicaragua, principalmente per via della rivoluzione, di cooperazione e legami fraterni che sono rimasti attivi in Nicaragua (…) Abbiamo sentito la necessità di venire qui, di parlare con quelle voci e gruppi che sono stati legati al Nicaragua[18].”
Mentre alcuni sperano in Washington e nelle sanzioni, e altri lavorano ai fianchi i progressisti europei, con, peraltro, un certo successo, altri attraversano la linea giocando con entrambe le parti. Felix Maradiaga, ex segretario generale del Ministero della Difesa del governo di destra di Enrique Bolaños (2002-2007), ha guidato una delegazione nel giugno del 2018 per denunciare Ortega di fronte all’Assemblea Generale dell’Osa, si è riunito con gli onnipresenti Marco Rubio e Ileana Ros-Lehtinen, e a settembre è stato invitato dall’allora ambasciatrice statunitense Nikki Haley per rivolgere un discorso di fronte al Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Da allora l’abbiamo visto in Europa nel tentativo di svolgere un ruolo da “moderato”. A Parigi il 10 dicembre, su iniziativa di SOS Nicaragua Francia, dove è stato accolto come la star in un dibattito finanziato dalla sezione francese di Amnesty International, in compagnia del sociologo Gilles Bataillon. Nel luglio del 1982 quest’ultimo, dopo aver accusato sulle pagine della rivista Esprit i sandinisti di perseguitare le popolazioni indigene Miskito, ha partecipato ad una feroce campagna di disinformazione destinata a demonizzare il FSLN, che stava affrontando, in un contesto assai complicato, l’attacco delle “contra”[19].
Già nel gennaio del 1981, Le Figaro-Magazine aveva raggiunto l’apice sulla falsa riga di questi attacchi: la pubblicazione di una foto che mostrava i corpi di vari miskito “bruciati dai sandinisit” (ma in realtà erano corpi di civili assassinati dalla dittatura somozista quattro anni prima). Il Segretario di Stato Alexander Haig in quell’occasione non ebbe dubbi nell’utilizzare il “devastante documenti” di fronte ai mezzi di comunicazione statunitensi e al congresso degli Stati Uniti. In fin dei conti da quei tempi non troppo lontani, i metodi non sono cambiati di molto.
La confusione di alcuni piccoli gruppi che sono passati dall’estrema sinistra alle chiacchiere sulla natura della destabilizzazione in Nicaragua, che considerano “legittima”, è vissuta come un tradimento da parte della sinistra latinoamericana, dal Foro di San Paolo fino ai movimenti sociali implicati direttamente nelle lotte sul terreno. Nessuno dice che il governo sandinista sia perfetto, ma le aspirazioni di giustizia sociale e rispetto alla democrazia fanno si che le parodie, imposte da alcuni “progressisti” che danno credito alle tesi di Donald Trump, dell’OSA, dei presidenti di estrema destra come quelli di Brasile e Colombia, dell’unione europea e dei media dominanti, siano rigettate.[20].
Se le conseguenze non fossero così dannose, perché portano all’isolamento sia Caracas che Managua, questo tipo di inganno sarebbe addirittura divertente. Per esempio, in Francia, all’interno del collettivo di “sinistra” che sta dando scandalo perché appoggia il rovesciamento del Presidente Ortega, c’è “Alerta Honduras”. La presenza di questo collettivo di “sostegno alla resistenza honduregna” fa capire a tutti che rappresenta le forze coraggiose che si sono opposte al colpo di Stato contro Manuel Zelaya del 2009 e i brogli elettorali successivi. Con un dettaglio però gelosamente nascosto.
Rispondendo alle domande di Giorgio Trucchi, “Mel” Zelaya sul tema dichiara:”Il popolo nicaraguense, il Frente Sandinista e il governo di Daniel sono stati solidali con noi, e mi dispiace che stiano attraversando un periodo di crisi sociale; spero che possano risolverla il più rapidamente possibile. (…) È ovvio che, di fronte ai morti, chiediamo giustizia. Però crediamo anche che bisogna capire bene quello che sta succedendo in Nicaragua; ci sono problemi, però sono aggravati dalle stesse forze reazionarie che vogliono far cadere il governo.” Domanda:”Lei crede che gli Stati Uniti abbiano avuto un ruolo nel conflitto?” Risposta: “Ne Sono assolutamente certo. Negli Stati Uniti ci sono gruppi molto settari di destra che vogliono imporre in America Latina un sistema economico di sfruttamento capitalista molto violento (…) che noi non accettiamo”[21].
La sinistra uruguaiana è molto più moderata e non sbaglia. Il 15 dicembre, il Frente Amplio, che governa nel paese, ha espulso dalle sua fila Luis Almagro per l’atteggiamento indegno come segretario dell’OSA: “Una cosa è avere una posizione politica sulla situazione in Venezuela o altri paesi latinoamericani, un’altra molto diversa, è schierarsi attivamente contro uno di quei paesi, da una posizione che dovrebbe creare consenso, e inoltre totalmente in linea con gli Stati Uniti, con un atteggiamento che lo ha portato addirittura a esprimere approvazione nei confronti di un’eventuale intervento militare [in Venezuela].”
Fare tavola rasa
L’11 gennaio, al termine di una sessione speciale convocata da Almagro, la Osa ha attivato la Carta Democratica contro il Nicaragua. Non c’è stata nessuna votazione che appoggiasse questa decisione, non è stata resa nota nessuna data per una riunione dell’Assemblea Generale nella quale si dovrebbe ottenere il consenso di almeno 24 paesi sui 34 totali, una cifra che non è mai stata raggiunta nemmeno nel caso del Venezuela. In questo paese, seguendo per filo e per segno lo scenario scritto dall’asse Trump-Almagro-Duque-Bolsonaro, il nuovo Presidente del Parlamento, Juan Guaidó (Voluntad Popular)[22], ha chiesto proprio l’11 gennaio “l’appoggio dei cittadini, dell’esercito e della comunità internazionale” per assumere le funzioni di Capo dello Stato “usurpate” da Nicolas Maduro. Alamagro lo ha già riconosciuto come presidente ad interim del Venezuela.
Non bisogna sorprendersi a riguardo. Al di là delle figure di Ortega e Maduro quello che si sta cercando di ottenere è la scomparsa del sandinismo e del chavismo come simboli di un’America Latina che rivendica la propria sovranità.
È la morte definitiva dell’ALBA, un altro simbolo di un periodo che ha sollevato l’integrazione del continente. È il ritorno definitivo delle forze più retrograde del vecchio ordine.
Note:
[1] Creato nel 2017 quando il Venezuela è stato attraversato da un’ondata di violenza e di ribellione, il gruppo di Lima include: Argentina, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Guatemala, Honduras, Messico, Panama, Paraguay, Perù, Guyana y Santa Lucia. Anche se il leader dietro le quinte sono gli Stati Uniti, non ne fa parte.
[2] Argentina, Bahamas, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Ecuador, Stati Uniti, Guatemala, Guyana, Haiti, Honduras, Giamaica, Panama, Paraguay, Perù, Repubblica Dominicana e Santa-Lucia.
[3] https://confidencial.com.ni/nicaact-y-la-ultima-luz-antes-de-entrar-al-tunel/
[4] Per quelli che ancora non lo sanno: con il pretesto della cooperazione, l’USAID è il braccio civile dell’interventismo statunitense; la NED, finanziata dal Congresso, concede centinaia di sovvenzioni ogni anno in tutto il mondo ad organizzazioni allineate con gli interessi di Washington.
[5] http://www.medelu.org/Washington-FMI-patronat
[6] Con “intermittenti del Nicaragua” ci riferiamo alla piccola confraternita formata da un certo numero di ex giovani europei (tra cui francesi) che hanno sostenuto la rivoluzione sandinista negli anni ottanta e che vi passarono più o meno tempo come parte di un processo efficace e degno di rispetto. All’inizio degli anni novanta, dopo la sconfitta elettorale, questi “internazionalisti” sono tornati alla comodità dei rispettivi paesi per intraprendere carriere professionali o accademiche di tutto rispetto, mentre in Nicaragua i sandinisti, rimasti soli, continuavano a lottare dimenticati ormai da quanti con entusiasmo avevano partecipato al “periodo eroico”, contro una destra che una volta al potere ha imposto la propria spaventosa legge. Alcuni decenni più tardi ripetendo come un disco rotto: “io c’ero, io c’ero”, forti della “legittimità” che un passato lontano gli offriva, questa minoranza invecchiata, disorientata da un paese che inevitabilmente è cambiato molto, fa un gran rumore a favore dell’opposizione parlando del “Sandinismo che non è più quello di una volta”.
[7] Leggere Maurice Lemoine, « Les travailleurs centraméricains otages des maquilas », Le Monde diplomatique, marzo 1998.
[8] http://www.rebelion.org/noticia.php?id=242762
[9] « Nicaragua : les morts ne dialoguent pas! », FalMag n° 137, Parigi, giugno 2018.
[10] https://www.youtube.com/watch?v=-fmPEh3ucA4
[11] http://www.redescristianas.net/la-oposicion-paramilitar-nicaraguense-los-zetas-y-las-fechas-para-el-golpe-de- estado-programadasdick-emanuelsson/ (Reti cristiane: web spagnola di duecento gruppi ecclesiastici di base)
[12] https://blogcontralamanipulacion.wordpress.com/2018/07/09/monopolio-de-la-muerte-o-de-como-inflar-una-lista- de-muertos-contra-un-gobierno-por-enrique-hendrix/
[13] https://confidencial.com.ni/redes-sociales-fueron-clave-para-informe-del-giei/
[14] https://bbackdoors.wordpress.com/2018/11/06/how-the-usaid-prepared-the-conditions-for-a-non-violent-coup-detat-against-the-nicaraguan-government-part-i/
[15] Per le sovvenzioni concesse nel 2017, andare alla pagina web ufficiale della NED : https://www.ned.org/region/latin-america-and-caribbean/nicaragua-2017/
[16] Nel 1989, gli Stati Uniti invasero Panama (4.000 morti) per arrestare il capo di Stato, il generale Manuel Antonio Noriega, una delle sue creature (era stato al soldo della CIA) di cui ormai avevano perso il controllo ed era coinvolto in operazioni di narcotraffico con i cartelli colombiani.
[17] https://www.elfaro.net/es/201806/centroamerica/22015/%E2%80%9CLa-prioridad-ahorita-es-que-no-nos-maten-luego-la-justicia-y-la-democracia%E2%80%9D.htm
[18] https://niu.com.ni/la-caravana-que-recorre-europa-denunciando-la-masacre-en-nicaragua/
[19] Leggere Maurice Lemoine, “L’autonomia persa dai Miskito del Nicaragua”, Le Monde diplomatique, settembre de 1997.
[20] Per esempio, consultare in linea la maldestra e sorprendente pagina “Venezuela” nella pagina web di Inprecor (4a Internazionale) : http://www.inprecor.fr/1c45cc76a126dc2c6e9f7b9/fiches/venezuela.html
[21] https://www.alainet.org/es/articulo/193852
[22] Quando la coalizione all’opposizione ottenne la maggioranza nell’Assemblea Nazionale nel dicembre del 2015, i quattro partiti principali che la compongono (il G-4) decisero che a turno ognuno di loro avrebbe assunto la presidenza ogni anno. Quest’anno è il turno di Voluntad Popular, fondato tra gli altri da Guaidò nel 2009.
Articolo di Maurice Lemoine | Mémoire des Luttes
Traduzione Gianpaolo Rocchi
Fonte: Mémoire des Luttes
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