“Per esigere il rispetto dei suoi diritti mio marito lotta ora contro la morte”
Anserma, 16 marzo (Rel-UITA | LINyM)-. Carlos Ossa Trejos, delegato della sezione La Virginia del Sindacato nazionale dei lavoratori dell’industria agricola, Sintrainagro, continua a dibattersi tra la vita e la morte dopo la repressione brutale della polizia antisommossa colombiana, Esmad, contro centinaia di corteros de caña (tagliatori di canna da zucchero) dello zuccherificio Risaralda in sciopero. Sua moglie assicura che la sua unica colpa è stata quella di avere lottato per il rispetto dei suoi diritti.
Luz Omaira Zapata si affaccia dalla porta della sua casa, nella piccola città di Ansermanuevo, nella Valle del Cauca e saluta con un debole sorriso. Respira profondamente e mi invita a entrare. Si siede, lentamente, sul divano che occupa buona parte della sala, mentre le sue due figlie e sua nipote di sette anni si ritirano dietro una tenda che separa la cucina dal locale in cui ci troviamo.
Fuori, lungo la strada ripida e pavimentata con pietre irregolari, è un continuo andirivieni di colleghi e amici di suo marito e della famiglia. “I compagni del sindacato non ci hanno lasciate sole nemmeno un istante. Sono persone meravigliose e il loro sostegno è stato fondamentale in questi momenti così difficili”, dice Luz Omaira.
Carlos Ossa stava dormendo quando, alle 4 della mattina del 3 marzo, agenti della Esmad attaccarono con violenza brutale i lavoratori in sciopero. Cominciarono a colpirlo senza pietà. Vari testimoni dicono di averlo visto alzare le mani in segno di resa e per difendersi dai colpi, mentre la polizia gli sparava a bruciapelo una bomba lacrimogena -altri dicono vari proiettili di gomma- in faccia.
L’impatto sul viso fu devastante. Non contenti, si scagliarono contro di lui con calci e colpi di manganello, mentre con un machete gli inferirono varie ferite, una molto profonda, in testa e sulle braccia. I medici dell’ospedale di Pereira non sanno ancora se vivrà e Carlos è mantenuto in coma farmacologico e ha perso un occhio. Tuttavia sua moglie è fermamente convinta che tornerà a casa.
“Difendeva i suoi diritti”
Il sangue versato non sarà invano
Con voce soave, ma piena di fermezza, Luz Omaira parla di suo marito, dei suoi sogni, della sua contagiosa vitalità, della convinzione assoluta che questa lotta per la dignificazione del lavoro e del salario fosse giusta e necessaria.
“È sempre stata una persona pacifica, ma estremamente ferma nelle sue convinzioni. Ha passato gli ultimi 11 anni della sua vita tagliando canna da zucchero nei campi dello zuccherificio Risaralda. Un lavoro duro col quale manteneva la sua famiglia. Era entusiasta dell’idea dello sciopero e si buttò a capofitto nell’organizzazione della protesta e nella mobilitazione dei lavoratori e della base sociale che li avrebbe sostenuti. Sapeva che era l’unico modo che i lavoratori avevano per porre fine alla persecuzione sindacale e ai licenziamenti e per obbligare l’impresa a negoziare”, racconta Luz Omaira.
Domenica 1 marzo, Carlos preparò tutto ciò di cui avrebbe avuto bisogno durante quello che si prospettava essere un lungo sciopero. La mattina seguente salutò sua moglie e le sue figlie e s’incamminò verso lo zuccherificio Risaralda.
“Ci mantenevamo in contatto. L’ultima chiamata la feci alle dieci di sera di lunedì. Mi disse che era tutto tranquillo e che erano ben organizzati col cibo. Nostra figlia gli chiese di tornare a casa perché aveva paura che gli potesse succedere qualcosa, ma lui rispose che non si sarebbe mosso fino alla conclusione di questa battaglia”, ricorda.
Alle 6 della mattina di martedì 3 marzo, la moglie di un altro lavoratore bussò alla porta di Luz Omaira e l’avvisò che Carlos era in ospedale.
“Il mondo mi è crollato addosso. Sono corsa all’ospedale e Carlos era già in coma. I suoi compagni mi hanno raccontato l’accaduto. Gli hanno sparato una bomba lacrimogena in faccia e ha perso un occhio. Mentre era per terra hanno continuato a colpirlo senza pietà e ha anche varie ferite di machete. Si sono accaniti contro lui con violenza inaudita. Non saprei proprio che nome dare a queste che non sono certo persone”, inveisce Luz Omaira.
Nonostante durante gli ultimi giorni l’emorragia celebrale si sia fermata, lo stato di Carlos continua a essere molto critico. “Tutto questo è assurdo. Non è possibile che per esigere il rispetto dei propri diritti, tra l’altro garantiti dalle leggi nazionali e dalle convenzioni internazionali, mio marito e altri compagni del sindacato siano stati massacrati”, aggiunge con sdegno.
Solidarietà da tutte le parti
“Il sindacato non ci ha mai lasciate sole”
Per lei e per le sue figlie non è facile. Oltre a rimanere senza l’unico mezzo di sostentamento, il vuoto nella casa è ciò che più pesa.
“Non riusciamo a dormire. Il vuoto è enorme. La nostra vita è cambiata drasticamente. Fortunatamente possiamo contare sulla solidarietà dei compagni del sindacato. Non ci hanno mai abbandonate e continuano a seguire la situazione di Carlos. Non ci hanno mai lasciate sole e questo è il più grande esempio di solidarietà che abbiamo vissuto”, segnala con le lacrime agli occhi.
Nei paesi e nelle città in cui è maggiore l’influenza dello zuccherificio e dove si concentra la manodopera si sono realizzate molte manifestazioni e proteste spontanee, contro la violenza del governo colombiano e dei suoi apparati repressivi e l’intransigenza dell’impresa.
Allo stesso tempo, migliaia di persone hanno manifestato la loro solidarietà con Carlos Ossa e la sua famiglia. Le mogli dei corteros sono scese in piazza in solidarietà con i loro mariti e con la giusta lotta del Sintrainagro.
La tenacia di tutte queste persone ha costretto l’impresa a negoziare e il 5 marzo scorso, lavoratori, zuccherificio e governo hanno firmato un accordo che garantisce la contrattazione diretta e indefinita dei lavoratori, la riassunzione dei licenziati e l’apertura di un tavolo di trattativa per la firma, tra sei mesi, di un nuovo contratto aziendale.
Nonostante la prognosi riservata, Luz Omaira è sicura che suo marito si recupererà e tornerà con la sua famiglia. Dice anche che non riposerà fino a quando i responsabili di questa barbarie non siano puniti.
“Non possono massacrare le persone e distruggere delle famiglie senza pagare le conseguenze dei loro crimini. Dobbiamo essere i primi a lottare affinché si ponga fine all’impunità”, dice.
“Mi sento orgogliosa di mio marito, del suo entusiasmo, del suo impegno e di quello che il sindacato ha ottenuto con questa lotta. Dobbiamo ribellarci e lottare affinché si faccia giustizia. E se Carlos dovesse venire a mancare, come donna continuerò a sostenere la lotta dei corteros de caña”, conclude Luz Omaira.
Fonte: LINyM | Rel-UITA (spagnolo)
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