La crisi e la sua inevitabile conclusione
Managua, 12 maggio (atilioboron.com.ar | Cubadebate) -. La dialettica rivoluzionaria e il confronto tra classi che la stimola avvicina la crisi a una conclusione inevitabile. Le alternative sono soltanto due: il consolidamento e l’avanzata della rivoluzione o la sconfitta della rivoluzione. La brutale offensiva dell’opposizione –criminale nella metodologia e nei propositi antidemocratici– trova, tra i governi conservatori della regione e tra impresentabili ex presidenti, figure che gonfiano il petto in difesa della ”opposizione democratica” in Venezuela e che esigono dal governo di Maduro l’immediata liberazione dei “prigionieri politici”.
Le canaglie mediatiche e “l’ambasciata” (Usa) fanno il resto e moltiplicano per mille queste menzogne. I criminali che incendiano un ospedale pediatrico fanno parte di questa presunta legione di democratici che lottano per destituire la “tirannia” di Maduro.
Lo sono anche i terroristi –li possiamo definire in altro modo?– che incendiano, distruggono, saccheggiano, aggrediscono e uccidono nella totale impunità (protetti dalla polizia dei 19 comuni in mano all’opposizione, sui 335 complessivi che esistono nel paese). Se la polizia bolivariana –che non ha in dotazione armi da fuoco dai tempi di Chávez– li cattura si produce una stupefacente mutazione: la destra e i suoi mezzi di comunicazione trasformano questi delinquenti comuni in “prigionieri politici” e in “combattenti per la libertà”, come quelli che in El Salvador assassinarono Monsignor Oscar Arnulfo Romero e i gesuiti della UCA; o quelli della “contras” che devastarono il Nicaragua sandinista, finanziati dall’operazione “Iran-Contras” architettata ed eseguita dalla Casa Bianca.
In sintesi: quello che sta succedendo oggi in Venezuela è che la controrivoluzione cerca di prendere possesso del territorio, delle strade –riuscendovi in vari punti del paese– e di ottenere, insieme alla carenza programmata di prodotti e alla guerra economica, il caos sociale che culmini con una congiuntura di dissoluzione nazionale e inneschi il crollo della rivoluzione bolivariana.
Riflettendo sul corso della rivoluzione del 1848 in Francia, Marx scrisse alcune righe che, con un po’ di cautela, potrebbero trovare applicazione nella Venezuela attuale.
Nel celebre Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, descriveva la situazione a Parigi e affermava che era normale sentire che “in mezzo a questa indicibile e assordante confusione di fusione, revisione, proroga, costituzione, cospirazione, coalizione, emigrazione, usurpazione e rivoluzione, il borghese furibondo gridasse in faccia alla repubblica parlamentare: “Meglio una fine dolorosa, che un dolore senza fine!”.
Sarebbe imprudente non prendere sul serio queste parole, perché questo è esattamente ciò che l’impero e i suoi seguaci cercano di fare in Venezuela: ottenere il consenso popolare per “una fine dolorosa” facendola finita con “un dolore senza fine”.
Per riuscirci, Washington applica la stessa ricetta somministrata a tanti altri paesi: organizzare l’opposizione e farla diventare il seme della controrivoluzione, offrirle finanziamento, copertura mediatica e diplomatica, armi; creare leader, stabilire un’agenda e reclutare mercenari e malviventi della peggior specie che facciano il lavoro sporco di “riscaldare gli animi” uccidendo, distruggendo, incendiando, saccheggiando, mentre i loro principali dirigenti si fanno fotografare in compagnia di presidenti, ministri, o del Segretario Generale dell’Osa (Organizzazione degli Stati Americani) e altri agenti dell’impero.
Esattamente lo stesso che fecero qualche anno fa con grande successo in Libia, dove Washington e i suoi amici si erano inventati i “combattenti per la libertà” a Bengasi. La stampa egemone diffuse questa falsa notizia ai quattro venti e la NATO fece il resto.
Risultato finale: distruzione della Libia abbondantemente bombardata per mesi, caduta e linciaggio di Gheddafi, tra le risate di Hillary Clinton. In Venezuela stanno mettendo in pratica lo stesso piano, con bande armate che distruggono e uccidono chiunque davanti ad una polizia poco più che indifesa.
In confronto, l’offensiva imperialista lanciata contro Salvador Allende negli anni settanta fu un gioco da ragazzi, di fronte all’inaudita ferocia dell’attacco contro il Venezuela. In Cile non ci fu un’opposizione che assoldasse bande criminali per andare nei quartieri popolari a sparare all’impazzata per terrorizzare la gente; nemmeno un governo di un paese vicino che coprisse il contrabbando e i paramilitari, e una stampa così canaglia e efficace come l’attuale, che ha fatto della menzogna una religione.
Nei giorni scorsi è stata pubblicata la foto di un giovane vestito con un uniforme da combattimento e che lancia una bomba molotov su un mezzo della polizia e l’epigrafe parla della “repressione” delle forze di sicurezza chaviste”, mentre erano queste stesse forze ad essere represse dai rivoltosi!
Questa stampa proclama indignata che la repressione è costata la vita a più di trenta persone, però nasconde in modo perverso che la maggior parte dei morti sono chavisti e che almeno cinque di loro sono poliziotti uccisi dai “combattenti per la libertà”.
Gli incendi, i saccheggi e gli omicidi, l’incitazione e l’esecuzione di azioni sediziose vengono venduti come la comprensibile esaltazione di un popolo sottomesso a una mostruosa dittatura che, curiosamente, lascia che i suoi oppositori entrino ed escano a piacere dal paese, visitino i governi amici o istituzioni putrefatte come la OEA per pretendere che il proprio paese sia invaso da truppe nemiche, rilascino, periodicamente, dichiarazioni alla stampa, approvino la violenza che si è scatenata, si riuniscano in una Assemblea Nazionale da farsa, abbiano a disposizione una fenomenale macchina dell’informazione che mente come non mai e vadano in altri paesi per appoggiare i candidati di estrema destra nelle elezioni presidenziali senza che nessuno venga disturbato dalle autorità.
Che curiosa dittatura quella di Maduro!
Tutte queste proteste e i loro istigatori hanno un unico scopo: garantire il trionfo della controrivoluzione e restaurare il vecchio ordine pre-chavista attraverso il caos programmato scientificamente da gente come Gene Sharp e altri consulenti della CIA che hanno scritto diversi manuali di istruzione su come destabilizzare i governi. [1]
Il modello di transizione al quale aspira ardentemente la controrivoluzione venezuelana non è il “Patto della Moncloa”, né nessun altro tipo di accordo istituzionale, ma piuttosto l’applicazione rigorosa del modello libico. E, ovviamente, non hanno la minima intenzione di dialogare, qualunque siano le concessioni che gli vengano fatte.
Hanno chiesto la Costituente e nello stesso istante in cui la ottengono accusano Maduro di promuovere un auto-golpe di Stato. Violano la legalità istituzionale e la stampa dell’impero li esalta come se fossero la quintessenza della democrazia. Non sembra che nemmeno la riabilitazione di Henrique Capriles o perfino la liberazione di Leopoldo López potrebbero fare in modo che l’opposizione accetti di sedersi a un tavolo di trattative politiche per uscire dalla crisi in modo pacifico perché il controllo è in mano al settore insurrezionale.
La destra e l’impero sentono l’odore del sangue e ne vogliono ancora, e misure concilianti come questa non fanno altro che incoraggiarli ancor di più, anche se ammetto che la mia analisi potrebbe essere incorretta.
Da fuori, gentaglia come Luis Almagro, che affiora dalle cloache dell’impero coperto di sterco, dirige una campagna internazionale contro il governo bolivariano. E paesi che non hanno mai avuto una costituzione democratica e nata da una consultazione popolare in tutta la loro storia, hanno il coraggio di pretendere di dare lezioni di democrazia al Venezuela, che possiede una delle migliori costituzioni del mondo, oltretutto approvata attraverso un referendum popolare.
Maduro si è offerto di convocare una Costituente per evitare una guerra civile e la disintegrazione nazionale. Se l’opposizione dovesse confermare nei prossimi giorni il rifiuto di questo gesto patriottico e democratico, l’unica strada che rimarrà al governo sarà quella di lasciar da parte l’eccessiva e imprudente tolleranza nei confronti degli agenti della controrivoluzione e riversare su di loro tutto il peso della legge, senza nessuna concessione.
L’opposizione non violenta verrà rispettata almeno finché agirà all’interno delle regole del gioco democratico e nel quadro stabilito dalla Costituzione; l’altra, l’ala insurrezionale dell’opposizione, dovrà essere repressa immediatamente e senza alcun timore.
Il governo bolivariano ha avuto fin qui una pazienza infinita contro i sediziosi, che negli Stati Uniti sarebbero già stati detenuti fin dal 2014 e alcuni di loro, Leopoldo López, per esempio, condannati al carcere a vita o alla pena capitale. Il suo peccato grave è stato quello di essere stato troppo tollerante e generoso con coloro i quali voglio solamente che vinca la controrivoluzione a qualsiasi costo.
La dialettica inesorabile della rivoluzione stabilisce, insieme alla logica impeccabile della legge di gravità, che adesso il governo deve reagire con tutta la forza dello Stato per impedire in tempo la dissoluzione dell’ordine sociale, la caduta nell’abisso di una guerra civile cruenta e la sconfitta della rivoluzione. Impedire questa “fine dolorosa” di cui parlava Marx prima di un “dolore senza fine”.
Se il governo adotta questa linea di condotta potrà salvare la continuità del processo iniziato da Chavez nel 1999, senza preoccuparsi del clamore assordante della destra e i loro leccapiedi mediatici che comunque, già da tempo, stanno ululando, mentendo e insultando la rivoluzione e i suoi protagonisti. Se, invece, vacillasse e cadesse nell’imperdonabile illusione di poter placare i violenti con gesti patriottici o con sette Ave Maria, il suo futuro ha il volto della sconfitta, con due varianti.
La prima, un po’ meno traumatica, ovvero finire come il Sandinismo, sconfitto “costituzionalmente” nelle urne nel 1989. Il problema è che il Venezuela si trova su un mare di petrolio e il Nicaragua no, e per questa ragione bisogna allontanare l’illusione che se i sandinisti sono tornati al governo anche i chavisti potranno dire la loro, dieci o quindici anni dopo un’eventuale sconfitta.
No! Il trionfo della controrivoluzione trasformerebbe di fatto il Venezuela nello stato numero 51 dell’Unione Americana, e se Washington durante più di un secolo ha dimostrato di non aver nessuna intenzione di abbandonare il Portorico, nemmeno tra mille anni se ne andrebbe dal Venezuela una volta che i suoi peones sconfiggano il chavismo e prendano possesso del paese e della sua immensa riserva di petrolio.
La rivoluzione bolivariana è sociale e politica e, non dimentichiamocelo, una lotta di liberazione nazionale. La sconfitta della rivoluzione si tradurrebbe nell’annessione informale del Venezuela agli Stati Uniti.
La seconda possibile variante della sconfitta configurerebbe lo scenario peggiore. Incapaci di contenere i violenti e di ristabilire l’ordine e una certa normalità economica una violenta insurrezione applicherebbe il modello libico per porre fine alla rivoluzione bolivariana. Non dimentichiamo che la numero due del Comando Sud è niente meno che un personaggio sinistro e senza scrupoli come Liliana Ayalde, già ambasciatrice degli Stati Uniti in Paraguay e Brasile e che in entrambi i paesi fu l’artefice fondamentale dei rispetti colpi di stato.
Una donna belligerante alla quale non tremerebbero i polsi al momento di lanciare le forze del Comando Sud contro il Venezuela, abbattere il suo governo e, come in Libia, fare in modo che una folla inferocita organizzata dalla CIA finisca con il linciaggio di Maduro così come è successo con Gheddafi, e lo sterminio fisico dei leader della rivoluzione. La dirigenza bolivariana, l’operato di Chavez e la causa dell’emancipazione latinoamericana non meritano nessuna di queste conclusioni, nessuna delle quali è inevitabile qualora si rilanci la rivoluzione e si schiacci senza pietà le forze della controrivoluzione.
Fuente: Atilio Borón | Cubadebate
Nota:
[1] Il più completo di questi manuali infami scritto da Gene Sharp si intitola Dalla Dittatura alla Democrazia pubblicato a Boston dalla Albert Einstein Institution, una ONG di facciata della CIA. Sharp ritiene di essere il creatore della teoria della “non violenza strategica”. Per capire il significato di ciò, e anche per comprendere quello che sta succedendo in Venezuela, consiglio caldamente di leggere questo libro e soprattutto l’Appendice, dove l’autore elenca 197 metodi di azioni non violente, tra cui include: “forzare blocchi economici”, “falsificare denaro e documenti”, “occupazioni e invasioni”, eccetera. Tutte azioni, come si può vedere, “non violente”.
Traduzione: Giampaolo Rocchi
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