Credo che il senso di vuoto che ognun* di noi ha provato, nell’apprendere la notizia della morte di Fidel, sia stato al tempo stesso unanime. Come rarissime volte succede nella vita, ci si sente immediatamente legati a milioni e milioni di esseri umani senza bisogno di alcuna alchimia digitale. Si avverte, nitida e profonda, la condivisione di un ineluttabile momento storico. Perché è dalla Storia che bisogna partire, quella che molto spesso condanna, ma qualche volta assolve.
Condannerà, molto probabilmente, la solita valanga di cronaca nefasta e letteratura meschina dei soliti professionisti dello sciacallaggio morale che ora sotto forma di editorialisti commentatori o mezzi busti, ora di pseudo-scrittori embedded perseguitati dalle camorre di mezzo mondo, non perdono tempo a vomitare banalità di comodo e verità di plastica. Non dedicheremo loro quindi più di queste poche righe fin troppo generose. Non ne vale la pena.
Farebbe torto alla grandezza di un personaggio che con la Storia ha stretto un legame che molto difficilmente verrà scalfito. Con la quale si è confrontato anche in termini rudi e duri, ma senza pretenderne la benevolenza. Conquistandola, al contrario, con la forza delle sue idee; per questo ne ha ricevuto l’assoluzione.
Quelle idee, quelle “buone idee che non vanno in giro sole per il mondo”, hanno contribuito a trasformare un continente dalle vene eternamente aperte in una sorgente di dignità. Coloro che lo abbandonarono, quando la tirannide tirava le cuoia, e la cui progenie balla ora una danza macabra nelle strade di Miami, non temevano l’avvento di una sanguinaria dittatura, ma la inevitabile perdita dei propri privilegi. Le fauci capienti del Nord non fecero fatica ad accoglierli e a trasformare gli angeli in demoni e i demoni in cittadini modello.
Pronti a ogni spedizione militare a ogni tornata elettorale e a ogni piagnisteo patriottico che a comando gli si richiedeva. A Cuba, nel frattempo, si sperimentava la democrazia che avrebbe dato lezione al mondo.
Nel pieno dell’embargo e sottoposti a continui e molteplici tentativi di aggressione, istruzione sanità e diritti per tutti/e. Un altro scherzo della Storia; una dittatura che invece di perseguitare il proprio popolo lo educava e lo rendeva più libero, come mai lo era stato fino agli screpitii della Sierra Maestra. Faceva pedagogia della Liberazione, mentre tutto intorno erano campi di concentramento torture e persecuzione. Fidel ha concretizzato i postulati della Solidarietà Internazionale, affiancando popoli in lotta lontani oceani senza chiedere in cambio nulla se non la loro autodeterminazione.
Un alfabeto della umanità che ora non troviamo in nessun dizionario. Ora che ci si è abituati alla routine dello sfruttamento e alzare la testa è un lusso che quasi non ci si può permettere. Da questa parte di mondo, dorata in superficie ma oramai marcia al suo interno, ci si affanna a sputare sentenze e a giudicare errori altrui senza avere il coraggio di chiedere conto alla propria coscienza. Avventurieri, violenti, anacronistici, stalinisti, autoritari, a seconda dei casi per cercare un alibi alla propria incapacità di diventare davvero protagonisti della propria epoca. Molto più comodo lasciare queste fastidiose incombenze a chi ha avuto a che fare, poveretti, con il colonialismo e il terzo mondo.
Cuba era il bordello d’America ed è diventata un esempio di dignità.
L’Europa era la culla della della civiltà ed è diventata il bordello del diritto.
Dopo un secolo che ha segnato a sangue la Storia dell’America Latina, l’epopea cubana l’ha trascinata verso l’emancipazione e l’affermazione della propria identità. Sarebbero parole vuote e insignificanti, se non avessimo sotto gli occhi quanto successo tra il tardo novecento e gli albori del ventunesimo secolo in tutto il sub-continente; Venezuela, Bolivia, Ecuador, Nicaragua fino ad Argentina e Brasile. Questi paesi non avrebbero neanche assaporato il sapore della liberazione e della democrazia senza la via indicata da Cuba e la prospettiva visionaria di Fidel. E di quanti e quante, assieme a lui, ne hanno permesso la realizzazione.
L’ALBA non è sorta dal nulla, è invece la plastica testimonianza di un processo irreversibile che non può prescindere dal protagonismo popolare. Seppur pieno, e non potrebbe essere altrimenti per la sua autenticità originaria, di contraddizioni limiti e frontiere ancora da conquistare.
Esattamente ciò che dovrebbe caratterizzare un processo rivoluzionario, tale come è stato quello innescato da Fidel. Nel corso di questi intensissimi e ineludibili anni, neanche il più retrivo revisionismo può trovare nelle sue azioni e nelle sue parole un tentennamento rispetto alle gigantesche responsabilità che comporta l’impegno rivoluzionario. Sono stati anni vissuti al servizio di una causa e di una idea che va oltre la inevitabile consacrazione di un gigante fatto popolo.
E forse proprio questa l’eredità più preziosa, per quanto ingombrante e difficile da sostenere, che ci lascia. Che lascia alle coscienze libere e liberate di questo mondo, al di sopra della condizione di dominio del pensiero alla quale troppo spesso siamo sottoposti*. L’ideologia della sopraffazione, ancora prima che sfruttare le nostre braccia, violenta il nostro immaginario.
In questi giorni abbiamo a che fare con il peso del lutto e del dolore, oltre che a rinforzare l’armatura per resistere alle colate di fango che si riversano indecenti da giornali telegiornali e oracoli di ogni risma.
Sono, malauguratamente, i momenti in cui la tuttologia prende il sopravvento per diventare un orribile onnivoro mostro. Sono anche i momenti in cui la meschinità e la viltà trovano spazio per accanirsi su un cadavere che non si è mai riusciti a combattere degnamente in vita.
La Storia però, sappiamo bene che non ha esitazioni quando deve emettere sentenza.
Quelle che piangono il Comandante Fidel Castro non sono lacrime di sola sofferenza né tanto meno di rassegnazione. Sono lacrime di riconoscenza e speranza. Lasciamo pure che sgorghino copiose, non vergogniamocene. Lasciamo pure che tocchino terra, con la loro purezza faranno germogliare i semi del nostro avvenire.
M.Angelilli
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