Guatemala : Mai più violenza, né tortura, né schiavitù sessuale! Un raggio contro l’impunità
Città del Guatemala, 28 febbraio (Rel-UITA | LINyM) -. Il silenzio quasi sepolcrale che regnava nell’affollata sala d’udienza della Corte suprema di giustizia del Guatemala è stato bruscamente interrotto dal forte e interminabile applauso e dalle grida di giubilo.
La giudice Jazmín Barrios aveva appena concluso la lettura della sentenza di condanna contro gli ex militari Esteelmer Francisco Reyes Girón ed Heriberto Valdez Asig, trovati colpevoli di crimini contro l’umanità connessi alla violenza sessuale, schiavitú sessuale e domestica, dell’omicidio della signora Dominga Coc e delle sue due bambine, Anita e Hermelinda, e della sparizione forzata di sette uomini, sposi delle querelanti.
Per queste atrocità gli ex uniformati sono stati rispettivamente condannati a un totale di 120 e 240 anni di prigione, e le pene non sono commutabili.
– Leggi Las mujeres de Sepur Zarco claman justicia
– Ascolta qui la lettura della sentenza
– Ascolta qui la registrazione integrale dell’ultima udienza
– Guarda la galleria di immagini
Un contesto di atrocità
Nel 1998 il Progetto interdiocesano REMHI (Recupero della Memoria Storica) ha investigato quanto accaduto durante il conflitto armato interno che ha sconvolto il Guatemala per più di 40 anni. Il rapporto finale “Guatemala: Nunca más”, di cui era responsabile l’allora vescovo e direttore del Centro per i diritti umani dell’Arcivescovado del Guatemala, Odhag, Juan José Gerardi, calcola che tra il 1954 e il 1996, circa 150 mila guatemaltechi siano stati giustiziati senza alcun processo e che altri 50 mila siano stati i desaparecidos.
Più di 600 massacri e 400 comunità Maya sterminate hanno lasciato come conseguenza un milione tra esiliati e rifugiati, 200 mila orfani e 40 mila vedove. Nove vittime su dieci erano civili disarmati, la maggior parte appartenenti a popolazioni indigene.
Nelle sue conclusioni, il rapporto ha evidenziato come almeno il 60 per cento delle più di 55 mila violazioni dei diritti umani commesse contro la popolazione sia stata responsabilità diretta dell’esercito. Due giorni dopo la presentazione del rapporto, il 24 aprile 1998, Monsignor Gerardi venne brutalmente assassinato.
La storia della comunità di Sepur Zarco, delle sue donne coraggiose, degli orrori che sono state costrette a vivere, ma anche della loro incontenibile sete di giustizia e della necessità impellente di risarcimento del danno, rientra quindi in un contesto che il sociologo Carlos Figueroa Ibarra ha definito come: “il genocidio più grande che si sia visto nell’America contemporanea”.
Un contesto le cui radici sono saldamente interrate in un sistema di dominio patriarcale, nel quale “la violenza sessuale viene socialmente legittimata ed è uno strumento di sostentamento del modello stesso”, come spiega la Alianza Rompiendo el Silencio y la Impunidad.
Durante il conflitto armato interno, questo crimine si è acuito ed è stato strumentalizzato come un’arma da guerra.
“La violenza sessuale è stata utilizzata in modo generalizzato, massiccio e sistematico come parte della politica controinsurrezionale dello Stato e costituisce un crimine di lesa umanità, un crimine di guerra, nonché un elemento essenziale del genocidio”, afferma nel suo rapporto “Guatemala: Memoria del Silencio” la Commissione per la Chiarezza Storica.
La Alianza spiega che la violenza sessuale continua a far parte della società guatemalteca, nonostante si preferisca mantenerla occulta come crimine di lesa umanità e sia “socialmente normalizzata”.
Ogni anno si registrano più di 50 mila denunce per violenze contro le donne -una media di 142 denunce al giorno-, 15 mila gravidanze in bambine minori di 14 anni e più di 600 femminicidi.
Questi dati, sommati all’alto grado di impunità -nel 2014 solo 243 casi sono passati in giudicato- proiettano il Guatemala come il paese centroamericano più colpito dall’epidemia della violenza contro le donne.
Le donne guardano i carnefici
Nel salone della Corte suprema di giustizia, vittime e carnefici si sono fronteggiati, giorno dopo giorno, per un mese. Quindici donne della popolazione nativa Q’eqchi’ hanno sconfitto i propri fantasmi e hanno deciso di percorrere il cammino verso la verità e la giustizia.
Con il volto quasi completamente coperto con degli scialli come misura di sicurezza, le donne sono rimaste immobili, con lo sguardo rivolto ai loro aguzzini. Con una pazienza infinita, ascoltano con attenzione ogni parola che viene pronunciata nella sala e che l’interprete, seduta al loro fianco, traduce nella loro lingua ancestrale.
Sempre come misura di sicurezza e per non cadere in una dolorosa rivittimizzazione, le donne hanno testimoniato in un’udienza preliminare. Hanno raccontato di fronte ai giudici gli orrori vissuti, le umiliazioni, le violenze subite, iniziando in questo modo il difficile percorso verso la verità.
Nel 1982, uno dei tanti distaccamenti militari dispiegati dalla politica controinsurrezionale dello Stato guatemalteco si insediò nella comunità di Sepur Zarco, nel nordest del paese.
“La comunità aveva appena cominciato le pratiche per ottenere la legalizzazione delle terre e questo fu motivo sufficiente per catturare, sequestare e fare sparire gli uomini, accusandoli di essere guerriglieri. Rimaste vedove, le loro mogli vennero trattate come ‘donne sole e quindi disponibili’. Furono obbligate alla schiavitù domestica, a sottomettersi a violenza e schiavitù sessuale”, denuncia la Alianza.
L’orrore degli abusi si prolungò per più di sei mesi e segnò le loro vite per sempre.
Dopo aver preso parte al Tribunale di coscienza contro la violenza sessuale sulle donne durante il conflitto armato interno (2010), quindici donne q’eqchies’ decisero di rompere il silenzio e presentare una denuncia penale per gli abusi subiti. Varie organizzazioni le accompagnarono in questo straordinario sforzo.
“È il primo caso presentato di fronte a tribunali nazionali per crimini di portata internazionale contro le donne. È un caso emblematico di donne che hanno rotto il silenzio e vogliono dimostrare che la giustizia è possibile”, dice Felipe Sarti Castañeda, rappresentante legale del Gruppo comunitario di azione psicosociale, Ecap.
“È una lotta a favore di tutte quelle donne del Guatemala che durante il conflitto armato interno hanno subito gravi violenze. Dobbiamo ricordare non per il gusto di farlo, ma per creare i presupposti affinché una simile tragedia non si ripeta mai più”, aggiunge lo psicologo del Ecap.
“La violenza sessuale nel nostro Paese è stata una strategia militare controinsurrezionale, utilizzata per il controllo dei corpi e dei territori. Lo Stato dovrà rispondere per i crimini commessi nel contesto di questa strategia”, sottolinea Ada Valenzuela, presidente dell’Unione nazionale delle donne guatemalteche, Unamg.
“Nel caso delle donne di Sepur Zarco stiamo mettendo in evidenza un tema che è molto attuale per la società guatemalteca”, assicura Paula Barrios, direttrice di Mujeres Transformando el Mundo.
“Giudicare la violenza e la schiavitù sessuale può creare un precedente storico per il paese. Contemporaneamente si starebbe concettualizzando e configurando queste tipologie penali nell’ambito dei crimini di guerra. Ci sono centinaia di donne che hanno subito lo stesso orrore e che meritano giustizia e risarcimento”, ha assicurato.
Perseguire tutti i colpevoli
Il processo ha avuto inizio lo scorso 1 febbraio nel tribunale A di Alto Rischio della capitale guatemalteca. Gli accusati, detenuti dal giugno 2014, sono due, ma le organizzazioni che accompagnano le donne di Sepur Zarco assicurano che i colpevoli di questi crimini sono molti di più. Segnalano anche la lentezza con la quale il Pubblico ministero si sta muovendo per catturare almeno altre cinque persone.
Ricordano inoltre che esistono legami diretti tra i militari accusati di violare i diritti umani e i proprietari terrieri che contendevano le terre alle comunità indigene.
Per Anabella Sibrian e Miguel Zamora della Piattaforma Internazionale contro l’Impunità, questi processi fanno parte della storia e della struttura sociopolitica dello Stato guatemalteco che, fin dall’inizio, è stato istituito in funzione degli interessi di élite economiche tradizionali e, più recentemente, dei nuovi poteri economici legali e illegali (poteri forti).
Quegli stessi poteri che utilizzano la forza militare e gli organi di giustizia per controllare qualsiasi tipo di opposizione ai propri interessi.
“Il caso della comunità di Sepur Zarco è un chiaro esempio di ciò. Nella misura in cui tolleriamo che gravi crimini rimangano impuniti, incoraggiamo che si continui a commetterli”, ha detto Sibrian.
Per questa ragione una vasta gamma di organizzazioni, sia nazionali che internazionali, sta accompagnando questo lungo percorso di ricerca della giustizia.
“Le donne che hanno sporto denuncia vengono continuamente stigmatizzate e vivono in un contesto comunitario molto complicato. I militari sono tornati a organizzare le pattuglie di autodifesa e i grandi proprietari terrieri continuano a impedire l’accesso alla terra alle comunità indigene”, ha detto Ada Valenzuela.
“Sui social network si è inoltre scatenata una forte campagna per gettare discredito sulle donne che hanno sporto denuncia e contro le associazioni che le accompagnano”, ha segnalato la rappresentante della Unamg.
Una società complice
Uno degli obiettivi di questo processo è che le vittime si liberino dal senso di vergogna, in quanto non sono certo loro le colpevoli di quanto successo.
“Com’è possibile che la società non abbia garantito le condizioni necessarie affinché le donne che hanno subito violenza sessuali possano camminare liberamente e tranquillamente?”, si domanda Paula Barrios.
“Dobbiamo rompere il continuum della violenza contro le donne. Riuscire ad abbattere il muro dell’impunità -che in Guatemala è storico- permetterebbe a tutte le sopravvissute alle violenze sessuali di credere nella giustizia”, ha detto la direttrice di Mujeres Transformando el Mundo.
Barrios ha anche spiegato che si sta già elaborando e discutendo una proposta per generare uno schema e uno standard di risarcimento per le vittime, con un approccio sia di genere che culturale.
“Queste donne mostrano un senso di responsabilità, una fermezza e una dignità incredibile. E lo hanno detto chiaramente: siamo qui per far conoscere la nostra verità, perché si sappia che quello che è successo non è colpa nostra, affinché si puniscano i responsabili e s’impedisca che altre donne soffrano quello che noi abbiamo sofferto”, ha concluso Valenzuela.
La sentenza
“Il caso Sepur Zarco evidenzia il trattamento crudele e infame al quale furono sottoposte le donne nel distaccamento militare. Furono violentate in modo continuato e sottoposte a schiavitù domestica e sessuale”, ha detto la giudice Barrios durante la lettura della sentenza.
“Rendendo le loro deposizioni, le donne sono scoppiate a piangere, esprimendo così il proprio dolore, tristezza, solitudine e abbandono, non solo per quanto avvenuto in quel momento, ma anche per l’impotenza di fronte agli uomini armati che cambiarono la rotta della loro vita, e che non hanno mai mostrato nessun rimorso per ciò che hanno fatto”, ha continuato Barrios.
La giudice ha anche riconosciuto il loro valore e coraggio come persone “presentandosi a deporre e a esporre pubblicamente le molteplici violenze sessuali di cui furono oggetto, che indubbiamente hanno lasciato effetti post-traumatici irreversibili”, ha spiegato.
“Riconoscere la verità aiuta a sanare le ferite del passato e l’applicazione della giustizia è un diritto che assiste le vittime e contribuisce a rafforzare lo stato di diritto nel nostro paese, facendo prendere coscienza del fatto che delitti come questi non devono mai più ripetersi”, ha aggiunto Barrios.
“Le donne hanno deciso di rompere il silenzio. Sono soddisfatte e col cuore felice, e noi siamo qui ad accompagnarle. Sono un esempio del fatto che in Guatemala è possibile avere giustizia”, ha detto una rappresentante dell’Alleanza Rompendo il Silenzio e l’Impunità, mentre la sua voce era inghiottita dalle grida di gioia e dagli applausi.
Di Giorgio Trucchi | Rel-UITA /LINyM
Traduzione: Giampaolo Rocchi
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.