Osvaldo Leon e Sally Burch, giornalisti di ALAI
ALAI America Latina, 25 ottobre 2015*
Dal 30 novembre all’11 dicembre Parigi farà da sfondo alla 21esima Conferenza delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico (COP21), che cade in un momento cruciale, sebbene con prospettive poco promettenti. Questo evidenzia la bozza del testo di negoziazione presentata dai due copresidenti della Conferenza. Secondo le critiche, sembra più un documento per la negoziazione di opportunità economiche che per il clima (1), e che neanche include nelle negoziazioni gli obiettivi nazionali relativi alle emissioni post 2020.
Dopo 20 anni dall’inizio della Convenzione sul Clima – il cui obiettivo principale è la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra affinché si mantengano sotto la soglia di incremento massimo di temperatura di +2°C – non solo i progressi registrati sono minimi, ma vi sono addirittura segni di retrocessione, come nel caso della discussione sopra le “responsabilità comuni, però differenziate”; un tema chiave che ultimamente ha registrato attacchi sistematici da parte dei paesi del Nord.
Nel frattempo crescono le prove che il riscaldamento globale avanza in maniera inesorabile. Tanto nella comunità scientifica quanto in ambito politico, si è ampliato il riconoscimento che il cambio climatico è un fatto comprovato e una seria minaccia, come anche che la causa principale ne sono i processi di industrializzazione degli ultimi due secoli. Nonostante ciò, persiste molta incertezza riguardo al suo ritmo di evoluzione, che é un fattore chiave per poter definire politiche adeguate ed opportune.
La maggior parte dei governi tendono a pianificare in funzione di una progressione lineare. Tuttavia, l’informativa del 2014 “Impatto, Adattamento e Vulnerabilità” (2) del Comitato Intergovernativo sul Cambiamento Climatico – IPCC – ente la cui analisi tende ad essere cauta riguardo ai pronostici, riconosce che esistono segnali nascenti ma preoccupanti del fatto che alcuni ecosistemi chiave potrebbero arrivare ad un punto di soglia critica (tipping points).
Quattro zone critiche
Se tale possibilità si verificasse, le conseguenze potrebbero essere catastrofiche, dato che superare questi limiti, scatenerebbe un rapido processo di cambiamenti irreversibili che accelererebbero molto il cambiamento climatico. Gli eventuali punti di flessione più critici identificati dall’IPCC si localizzerebbero in quattro zone: la Circolazione Meridionale di Ritorno dell’Atlantico Nord (AMOC nella sigla inglese), l’Artico, le barriere coralline e l’Amazzonia.
La AMOC si riferisce alla Corrente del Golfo – che porta acque tiepide dai Caraibi al nordest dell’Europa, facendo si che il clima di questa regione sia molto più temperato del clima continentale alla stessa latitudine – la quale in certi periodi ha dato segni di stagnamento a causa di affluenza di acqua fredda dovuta al disgelo della Groenlandia; si teme che questa corrente possa arrivare a paralizzarsi completamente, con conseguenti inverni molto più freddi in Europa e nell’Est degli Stati Uniti.
L’Artico è uno dei casi più chiari, dato che si è già riscaldato molto più delle altre regioni, con effetti devastanti per la flora e la fauna e per i mezzi di sussistenza dei popoli nativi della regione; e inoltre, col disgelo del suolo artico si libereranno nell’atmosfera grandi quantità addizionali di gas a effetto serra, che porterà ad una intensificazione del ritmo del cambiamento climatico in tutto il mondo.
Le barriere coralline, che ospitano fino al 25% della vita marina nonostante costituiscano meno dell’ 1% della superficie terrestre, stanno morendo o “schiarendo” a ritmi accelerati in tutto il mondo. Alcune stime evidenziano che un 50% di barriera è perita in soli 30 anni e che a questo ritmo potrebbero sparire tutte entro il 2050, con una grave perdita di biodiversità e del sostegno alimentare di circa 850 milioni di persone (3). I Caraibi sono una delle aree più vulnerabili.
La quarta regione a rischio di arrivare ad un punto di soglia critica è l’Amazzonia, il che implicherebbe una enorme perdita di biodiversità e un impatto a catena nel processo di riscaldamento globale.
Questi dati indicano che sarebbe irresponsabile se gli accordi della COP21 di Parigi si basassero semplicemente su stime del ritmo attuale di riscaldamento e contemplassero misure politiche posticipate al prossimo decennio. Di fatto, in uno scenario di negoziazioni segnate dalla pressione di lobby finanziarie e grandi società transnazionali del settore minerario, dell’energia fossile e dell’agroindustria, è praticamente rimasta al margine la questione centrale: l’analisi delle cause del problema ambientale, che comporta il dibattito relativo al modello di sviluppo.
La risonanza di Laudato Si’
In questo contesto, Papa Francesco ha pubblicato in giugno la carta enciclica “Laudato Si’: sulla Cura della Casa Comune” (4) richiamando ad una conversione ecologica integrale, le cui segnalazioni hanno contribuito ad ampliare e approfondire la riflessione e il dibattito intorno a questa tematica complessa, suggerendo la doppia sfida della giustizia climatica e di quella sociale. E’ così che è diventato una sorta di punto di riferimento mondiale, portatore di una posizione etica il cui impatto va molto oltre la chiesa e i suoi fedeli.
Laudato Si’ enuncia valori e principi etici che possono essere di riferimento per le negoziazioni politiche relative al cambiamento climatico, oltre a formulare raccomandazioni pratiche. Inoltre, secondo il parere di Fritjof Capra (5), questa enciclica esprime una visione sistemica della vita, che implica l’integrazione delle dimensioni biologica, cognitiva, sociale ed ecologica. Per questo promuove la necessità di un nuovo modo di pensare che riconosca le interconnessioni, o ciò che Papa Francesco chiama una “ecologia integrale” o multidisciplinare.
Questo approccio chiama, insieme ad altri aspetti, ad una ridefinizione del concetto di progresso e alla ricerca di un consenso globale, lasciando a margine le posizioni che collocano gli interessi nazionali sopra il bene comune globale (Art. 169). Critica la debolezza delle risposte politiche internazionali, che attribuisce al fatto che la politica è subordinata alla tecnologia e alla finanza, e al prevalere di interessi speciali ed economici particolari (Art. 54). Come anche alla miopia politica, che si occupa solo di risultati immediati e calcoli elettorali (Art. 178). In questo senso, raccomanda di dare maggiore potere alla cittadinanza. “Se i cittadini non controllano il potere politico – nazionale, regionale e municipale – tantomeno è possibile un controllo dei danni ambientali” (Art. 179).
Come per dare maggior forza all’appello di Laudato Si’, questo è stato l’asse portante degli interventi di Papa Francesco durante il suo viaggio di luglio in Ecuador, Bolivia e Paraguay e di settembre a Cuba, che ha dato spazio all’incontro con le organizzazioni popolari, alla sua presenza all’Assemblea Generale dell’ ONU, passando da istanze nazionali ufficiali come il Congresso degli Stati Uniti.
Tre grandi impegni
In Sud America, il messaggio più incisivo Papa Francesco lo ha espresso all’ Incontro Mondiale dei Movimenti Sociali che si è svolto a Santa Cruz, in Bolivia, il 9 luglio 2015 (6) quando ha detto: “Iniziamo col riconoscere che necessitiamo di un cambiamento….[con riferimento a] i problemi comuni a tutta l’umanità. Problemi che hanno una radice globale e che oggi nessuno stato è in grado di risolvere da solo. Questo sistema non si sostiene più, e tantomeno lo sostiene la Terra”.
“La globalizzazione della speranza, che nasce dai popoli e cresce tra i poveri, deve sostituire questa globalizzazione dell’esclusione e dell’indifferenza. Si stanno castigando la terra, i popoli e le persone in modo selvaggio…Quando il capitale si trasforma in idolo e guida le opzioni degli esseri umani, quando l’avidità per il denaro tutela tutto il sistema socioeconomico, rovina la società, condanna l’uomo, lo trasforma in schiavo, distrugge la fraternità interumana, mette popolo contro popolo, e, come vediamo, mette perfino a rischio questa nostra casa comune”, ha aggiunto.
Per poi puntualizzare: “Non aspettatevi da questo Papa una ricetta” e proponendo, tuttavia, tre grandi impegni : il primo, “mettere l’economia al servizio dei popoli” ; il secondo, “unire i nostri popoli nel cammino della pace e della giustizia. E il terzo impegno, forse il più importante che dobbiamo assumerci oggi, è difendere la Madre Terra. Non si può permettere che certi interessi – che sono globali ma non universali – si impongano e sottomettano gli stati e gli organismi internazionali e continuino a distruggere la creazione”.
“I popoli e i loro movimenti sono chiamati a reclamare, a mobilizzarsi, a esigere – pacificamente ma tenacemente – l’adozione urgente di misure appropriate. Io chiedo, in nome di Dio, che difendano la Madre Terra….il futuro dell’umanità non sta unicamente nelle mani dei grandi dirigenti, delle grandi potenze e delle élites. Sta fondamentalmente in mano ai popoli, nella loro capacità di organizzare, e anche nelle loro mani che pregano con umiltà e convinzione questo processo di cambiamento” ha rimarcato alla fine del suo discorso.
Richiamo ai governanti
“Oggi, maggiormente che qualsiasi altro leader, il Papa vincola fortemente i temi del mondo naturale con quelli del mondo sociale. E lo fa con “autorità”.. ..E’ così che milioni di persone “ si connettono” con lui e confidano in lui” (7), sostiene il Cardinale Peter Turkson, Presidente del Consiglio Pontificio per la Giustizia e la Pace, stretto collaboratore di Papa Francesco.
Nel suo intervento di fronte all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il Vescovo di Roma ha affermato: “Innanzi tutto bisogna affermare che esiste un vero “diritto dell’ambiente” , per due motivi. Primo, perché noi esseri umani siamo parte dell’ambiente. Viviamo in comunione con esso perché lo stesso ambiente comporta limiti etici che l’azione umana deve riconoscere e rispettare. L’uomo, anche quando è dotato di ‘capacità inedite’ che ‘mostrano una singolarità che trascende l’ambito fisico e biologico’ (Laudato Si’ 81), è allo stesso tempo una parte di questo ambiente. Ha un corpo formato di elementi fisici, chimici e biologici e può sopravvivere e svilupparsi solo se l’ambiente ecologico gli è favorevole. Qualsiasi danno all’ambiente, pertanto, è un danno all’umanità”.
“Il mondo reclama a tutti i governanti una volontà effettiva, pratica, costante, di passi concreti e misure immediate per preservare e migliorare l’ambiente naturale e vincere quanto prima il fenomeno dell’ esclusione sociale ed economica” ha detto, per poi mettere il dito nella piaga: “La crisi ecologica, insieme alla distruzione di buona parte della biodiversità, può mettere in pericolo l’esistenza stessa della specie umana. Le nefaste conseguenze di un irresponsabile malgoverno della economia mondiale, guidato solo dall’ambizione di lucro e potere, devono essere un appello ad una severa riflessione sull’uomo”.
In relazione alla COP21, il Cardinale Turkson segnala che Laudato Si’ , tra gli altri possibili contributi, potrebbe dare un impulso ai negoziatori e ai rappresentanti affinché diano maggiore importanza alle necessità reali della maggioranza nei singoli paesi, e contribuire affinché le conversazioni e le risoluzioni riflettano “il vincolo morale indissolubile” tra il mondo naturale e sociale. Inoltre, potrebbe essere un fattore di convincimento per i decisori, che il mondo è pronto per una azione reale, oltre che una voce di respiro e orientamento per le azioni degli attori sociali affinché si mobilitino intorno al COP21.
Infine, si spera che in questo modo contribuisca a ridurre il rischio di una mancanza di accordo a Parigi , come successe a Copenhagen sei anni fa; o il rischio ancora più grave che, come a Rio 1992, si raggiungano buoni accordi che poi per la maggior parte non vengano implementati.
Difendere l’ Amazzonia
L’Amazzonia è uno dei tre grandi luoghi al mondo con riserve forestali importanti, regolatrici degli ecosistemi regionali. Le altre due si trovano nel Sud Est asiatico (Malaysia e Indonesia, che hanno distrutto più dell’80% delle proprie foreste originarie in favore di piantagioni di palma africana e eucalipto) e nel Congo (dove è ripreso lo sfruttamento del legname e l’estrazione mineraria). La foresta amazzonica, come indica Francois Houtart (8), raccoglie un totale di 109.660 milioni di tonnellate di diossido di carbonio – CO2 (9), cioè il 50% del CO2 delle foreste tropicali del pianeta (10). Con una estensione di 4 milioni di km2 su 9 paesi, in questa regione abitano circa 33 milioni di persone, tra cui 400 popoli indigeni.
Basandosi sullo studio di Antonio Donato Nobre (“Il futuro climatico dell’Amazzonia – Rapporto di valutazione scientifica”) Houtart segnala: “La storia geologica dell’Amazzonia è molto antica. Ci sono volute decine di milioni di anni per costruire la base della biodiversità della foresta, che hanno reso quest’ultima ‘una macchina di regolazione ambientale’ ad alta complessità. Si tratta di un ‘oceano verde’ in relazione con l’oceano gassoso dell’atmosfera (acqua, gas, energia) e con l’oceano azzurro dei mari”.
“Le principali funzioni sono cinque”, sottolinea. “Per prima cosa, la foresta mantiene l’umidità dell’aria, permettendo le piogge in luoghi lontani dagli oceani, grazie alla traspirazione degli alberi. In secondo luogo, le piogge abbondanti aiutano a conservare l’ aria pulita. Terzo, si mantiene un ciclo idrologico benefico anche in condizioni avverse, perché la foresta aspira l’aria umida degli oceani fino all’interno, mantenendo piogge in qualsiasi circostanza. La quarta funzione riguarda la esportazione di acqua attraverso i fiumi a grandi distanze impedendo la desertificazione, specialmente ad est della cordillera. Per ultimo, evita il realizzarsi di fenomeni climatici estremi grazie alla densità forestale che impedisce tempeste alimentate dal vapore acqueo. Per questo si deve difendere tale ricchezza naturale eccezionale”.
Come abbiamo segnalato, secondo il Rapporto 2014 dell’ IPCC, l’Amazzonia è tra le quattro regioni in pericolo di arrivare ad una soglia critica. Benché le evidenze non siano pienamente chiare, se continuasse la tendenza attuale di siccità annuali sempre più estese in questa zona, non si esclude una forte diminuzione della zona amazzonica nel corso di questo secolo, a causa dell’aumento della temperatura media mondiale.
* Articolo introduttivo della edizione 508 (ottobre 2015) della rivista “America Latina in Movimento” edita da ALAI, che col titolo “Cambiamento climatico e Amazzonia” affronta giustamente il cambiamento climatico a partire dalla realtà amazzonica, attraverso contributi provenienti principalmente da membri della Rete Ecclesiale Pan-Amazzonica (REPAM).
NOTE
1) Vedere : “Alerta sobre la negociación de cambio climático”, 14/10/2015 http://www.alainet.org/es/articulo/172995. Il documento in Inglese: https://unfccc.int/2860.php
2) http://www.ipcc.ch/report/ar5/wg2/
3) Vedere: Welcome to a new planet, Michael Klare http://www.alainet.org/en/articulo/173001
4) http://www.alainet.org/es/articulo/170482
5) Laudato Si’ — La Ética Ecológica y el Pensamiento Sistémico del Papa Francisco, Fritjof Capra http://www.alainet.org/es/articulo/172990
6) Discorso di Papa Francesco al II EMMP http://www.alainet.org/es/
7) Our Common Home: an Ethical Summons to Tackle Climate Change, Cardenal Peter K.A. Turkson. Discorso al Boston College, 28 settembre 2015. (Traduzione libera).
8) Cambio climático y la Amazonia: un grito de alarma. http://www.alainet.org/es/active/79760#sthash.LZbM6ove.dpuf
9) Red Amazónica de Información Socio-ambiental Georreferenciada (RAISG), 2014.
10) Andrés Jaramillo, El Comercio, 05.12.14.
Traduzione di Manuela Di Michele
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