Honduras Comunità LGBTI di nuovo in lutto

Honduras-Comunità LGBTI di nuovo in lutto
Assassinata attivista dell’Associazione Arcoíris Honduras
Managua, 14 luglio (Rel UITA | LINyM)
L’Honduras continua ad essere uno dei paesi più letali per le persone Lgbti. La notte del 10 luglio, Scarleth Cambell, donna transgender attivista dell’Associazione Arcoíris Honduras, una delle organizzazioni che difendono i diritti della diversità sessuale, è stata assassinata con vari colpi di pistola esplosi da una macchina in un quartiere della capitale.

Secondo Arcoíris, Scarleth è stata vittima dell’odio e della violenza che imperversano in Honduras. “Rifiutiamo tutti gli atti di odio, stigmatizzazione e discriminazione nei confronti della popolazione Lgbti”, si legge in un comunicato diffuso dall’associazione sui social.

Scarleth Cambell faceva parte del gruppo Muñecas di Arcoíris, creato nel 2008 da diverse donne transgender provenienti dalle città di Tegucigalpa e Comayagüela. Obiettivo del gruppo è quello di promuovere uno spazio di incontro per ragazze transgender lavoratrici del sesso, in cui discutere e affrontare problematiche importanti che riguardano la popolazione transgender.

Secondo la Rete nazionale dei difensori dei diritti umani in Honduras (RNDH) sono già 10 le donne transgender assassinate dall’inizio dell’anno. L’Osservatorio sulle morti violente di persone Lgbti della Rete Lesbica Cattrachas stima che siano 361 le persone della diversità sessuale assassinate dopo il colpo di stato del 2009.

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Honduras – Profondamente antisindacale

Profondamente antisindacale
Attacco sistematico a sindacalisti e difensori dei diritti umani. Preoccupazione per l’entrata in vigore del nuovo codice penale
Managua, 25 giugno (Rel UITA | LINyM)
Il nuovo rapporto della Rete contro la violenza antisindacale mostra ancora una volta che l’Honduras continua a essere uno dei paesi dell’America Latina con il maggior numero di attacchi contro chi esercita il sindacalismo.

Nel rapporto “Il costo della difesa del diritto alla libertà di associazione 2019” [1], presentato lo scorso 15 giugno, sono documentati 54 atti di violenza contro sindacalisti, la maggior parte dei quali avvenuti nel contesto delle proteste contro il tentativo del governo honduregno di privatizzare sanità e istruzione.

Mobbing, aggressioni, minacce e intimidazioni sono state le forme più frequenti di violenza durante il 2019. Il 61% delle vittime sono uomini e il 39% donne.

I sindacati più colpiti sono quelli del settore pubblico (57%), l’area geografica più colpita  il dipartimento di Cortés (San Pedro Sula) e il settore che ha subito il maggior numero di violenze è quello agroindustriale.

“Festagro, Stas e Sitraterco [2] sono stati i principali obiettivi degli attacchi, sia nel processo organizzativo di nuovi sindacati che durante la negoziazione di contratti collettivi aziendali”, ha spiegato Jorge Hernández della Rete contro la violenza antisindacale.

Le compagnie multinazionali proprietarie delle piantagioni in cui si sono verificati gli atti di violenza sono Fyffes/Sumitomo (melone), Grupo Jaremar (olio di palma) e Chiquita Honduras (banana).

Impunità assoluta

La mancanza di indagini e l’elevato tasso di impunità fanno sì che il 51% degli autori siano persone sconosciute. Nel 28% degli eventi registrati, i responsabili sono funzionari pubblici, per lo più agenti di polizia, e nel restante 21% sono guardie private o funzionari aziendali.

Si sono verificati anche due omicidi: Joshua Sánchez dell’Unione dei lavoratori di Gildan Villanueva S.A Company (Sitragvsa) e Jorge Alberto Acosta di Sitraterco. Nell’ultimo decennio in Honduras sono stati assassinati 36 sindacalisti, la maggior parte di loro durante la resistenza contro il colpo di stato del 2009.

“Stiamo perfezionando i meccanismi di ricerca per migliorare la nostra capacità di individuare episodi di violenza antisindacale. Sappiamo che questi dati sono sottostimati, tuttavia 54 casi di violenza diretta sono molti e sono in aumento”, ha avvertito Hernández.

Attualmente, Honduras, Colombia, Guatemala e Messico sono i paesi più pericolosi dell’America Latina per esercitare l’attività sindacale.

Honduras non rispetta norme OIL

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Honduras Intervista a Bertha Zúniga Cáceres

Intervista a Bertha Zúniga Cáceres
“Dobbiamo aumentare la sovranità alimentare”
Popolazioni indigene e pandemia

Managua, 8 giugno (Pressenza | Rel UITA | LINyM) 

La pandemia in Honduras continua a colpire duramente: più di 6.300 contagiati e circa 260 morti. Essendo uno dei Paesi con i più alti tassi di disuguaglianza e povertà (67%) dell’America Latina, è inevitabile che la malattia abbia colpito soprattutto i settori più vulnerabili della società.

Le zone rurali sono i luoghi dove si vedono di più gli effetti nefasti del modello neoliberale imposto dalle élites nazionali e dal grande capitale internazionale. Le popolazioni indigene e nere e le comunità contadine stanno subendo i principali impatti di una crisi sanitaria che mette a nudo la crudeltà e disumanità di questo sistema.

Nonostante le difficoltà e i limiti è essenziale raddoppiare gli sforzi e promuovere forme di autogestione e di sovranità alimentare, ha affermato Bertha Zúniga Cáceres, coordinatrice del Copinh, il Consiglio Civico delle Organizzazioni Popolari e Indigene dell’Honduras, e figlia di Berta Cáceres[1].

-In che modo la pandemia ha colpito le comunità indigene?

-Ha esacerbato quei problemi che sono quasi cronici, in particolare la mancanza di cibo. Fortunatamente, la maggior parte delle comunità organizzate dal Copinh sono produttrici di cereali di base. Ma ce ne sono altre che soffrono di carenza d’acqua e stanno attraversando momenti molto difficili.

Inoltre, la quarantena ha reso impossibile vendere i prodotti delle comunità e altre attività commerciali informali. C’è anche una recrudescenza della violenza di genere e un aumento degli abusi della polizia e dei militari. Non c’è stata quarantena per gli abusi.

-Ci sono stati molti abusi?

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Honduras : Pandemia e violenza contro le donne






Honduras-Pandemia e violenza contro le donne
Per donne, bambini e bambine lo “state a casa” implica una maggiore vulnerabilità
Managua, 9 aprile (Rel UITA | LINyM) –
La risposta alla diffusione del Covid-19 nel mondo è stata, a parte alcune eccezioni, quella di decretare l’isolamento sociale. Lo #stateacasa, riprodotto in diverse lingue, è diventato virale e ha fatto tendenza sui social. Tuttavia, per donne, bambini e bambine, questo atto di resistenza si trasforma in una maggiore vulnerabilità e le espone a un maggior rischio di violenza intrafamiliare (domestica).

Secondo l’Osservatorio per l’uguaglianza di genere (OIG) della Commissione economica per l’America Latina e i Caraibi (CEPAL), nel 2018 oltre 3.500 donne sono state vittime di femminicidio. I paesi con i più alti tassi sono stati El Salvador (6,8 per 100mila donne), l’Honduras (5,1) e il Guatemala (2). Tuttavia, i dati reali potrebbero essere molto più allarmanti a causa dei diversi significati che i Paesi attribuiscono al termine “femminicidio”[1].

In Honduras, l’Osservatorio sulla violenza dell’Università nazionale autonoma, Unah, indica che nel 2019 sono state uccise 406 donne. Una ogni 22 ore. Secondo i dati di diverse organizzazioni nazionali, quest’anno sono già state assassinate 73 donne e sono state più di 50 al giorno le denunce per violenza intrafamiliare.

“In un contesto di isolamento sociale come misura per affrontare la pandemia, molte donne e bambine sono confinate in uno spazio con il loro aggressore o possibile aggressore. Se a questo aggiungiamo la situazione di povertà e povertà estrema che interessa enormi fette della popolazione, vediamo come questa misura le espone a una maggiore vulnerabilità e aumenta il rischio di violenza domestica”, spiega Helen Ocampo, ricercatrice dell’Osservatorio dei diritti umani delle donne del Centro per i diritti delle donne (Cdm).Dopo quasi tre settimane di quarantena, la Procura generale dell’Honduras ha registrato 80 denunce di violenza domestica. Una quantità troppo bassa se consideriamo che, nell’ultimo decennio, lo stesso Cdm ha riportato una media giornaliera di 56 denunce.“È evidente che le donne non si sentono né tranquille, né sicure per andare a denunciare il proprio aguzzino. Sono chiuse in casa con lui ed è una situazione tremenda”, ha spiegato Ocampo.

Lo Stato complice

La ricercatrice del Cdm ha elencato altri fattori che stanno contribuendo alla mancata denuncia, come per esempio che frequentemente le chiamate al 911 e alle stazioni di polizia non ricevono risposta, o che molte donne non sanno nemmeno se gli uffici della Procura sono aperti.

Ma la cosa che fa più rabbia, ci dice Helen Ocampo, è che di fronte all’incapacità dello Stato siano ancora una volta le organizzazioni di donne e quelle femministe a dovere colmare le lacune, dando risposte puntuali alle situazioni di vulnerabilità. Ecco perché il Cdm e molte altre organizzazioni hanno messo a disposizione numeri di telefono a cui chiamare, sia in caso di emergenza che per avere un sostegno psicologico o legale durante la quarantena.

La Rete lesbica Cattrachas ha invece lanciato una campagna per l’approvazione di un decreto che proibisca il consumo di bevande alcooliche. In paesi como l’Honduras, il concumo di alcool è molte volte un fattore scatenante della violenza intrafamiliare. Ad oggi sono 163 su un totale di 268 i comuni che hanno deciso di sostenere questa misura. Purtroppo mancano ancora quelli più grandi e popolati, dove si registrano i livelli più alti di consumo di bevande alcooliche e di violenza domestica.Sono stati inoltre avviati processi di autodifesa, con misure di sicurezza e di denuncia sociale da parte delle stesse comunità. “

È molto importante riconoscere il lavoro che si sta realizzando all’interno delle comunità, come per esempio quelle garifunas. Si prendono cura e informano la popolazione sulle principali misure di prevenzione, autoproducono alimenti, mostrano all’intera nazione l’importanza dell’organizzazione e della solidarietà comunitaria”, ha concluso Ocampo.

Note
[1] Alcune nazioni considerano “femmicidio” quello commesso dal coniuge o dall’ex partner

di Giorgio Trucchi

Fonte: Rel UITA (spagnolo)

Honduras: Sentenza Berta Cáceres

Sentenza Berta Cáceres, un primo passo sulla strada della giustizia
Condanne tra i 30 e i 50 anni per gli autori materiali

Tegucigalpa, 3 dicembre (LINyM) -.

Il 2 dicembre, trascorsi esattamente 45 mesi dall’assassinio  della dirigente indigena di etnia lenca Berta Cáceres, il Tribunale di prima istanza ha disposto condanne dai 30 ai 50 anni di carcere per gli autori materiali del crimine. Un primo passo sulla strada, ancora molto lunga, della giustizia.

I sette accusati erano stati dichiarati colpevoli il 29 novembre 2018, ma i giudici ci hanno messo un anno esatto a depositare la sentenza scritta con le relative pene. Un ritardo ingiustificabile che ha causato scompiglio e preoccupazione ai familiari della Cáceres, nonché insicurezza giuridica e un inaccettabile ritardo nelle indagini sui mandanti dell’omicidio.

I giudici hanno condannato Sergio Rodríguez, direttore ambientale dell’azienda Desarrollos Energéticos SA, Desa, e Douglas Bustillo, ex sergente dell’esercito ed ex vice responsabile della sicurezza di Desa, a 30 anni e 6 mesi di prigione. Per Mariano Díaz, maggiore delle Forze armate honduregne, la pena è stata di 30 anni.

Nel caso degli altri quattro imputati, alla pena per l’assassinio di Berta Cáceres si aggiunge quella per il tentato omicidio di Gustavo Castro, l’ecologista messicano sopravvissuto all’attacco mortale e unico testimone del crimine. Henry Hernández, anch’egli ex militare, Edilson Duarte, Elvin Rápalo e Oscar Torres, sono stati condannati a 50 anni e 4 mesi di prigione.

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Honduras “Il mio compito è la liberazione del mio popolo”

Honduras “Il mio compito è la liberazione del mio popolo”

El Triunfo resiste e lotta contro progetti minerari

El Triunfo, 4 novembre -.

L’Honduras ha più del 35 per cento del territorio dato in concessione per progetti estrattivi ed energetici. Le concessioni per l’esplorazione e lo sfruttamento minerario sono 302, 110 delle quali nel sud del paese. Nel caso specifico del comune di El Triunfo, a pochi chilometri dalla frontiera col Nicaragua, il popolo organizzato è riuscito a frenare almeno nove progetti che mirano a sfruttare circa 19 mila ettari del territorio su cui sorgono 11 villaggi e 136 comunità.

Nel dicembre dello scorso anno, con l’appoggio di organizzazioni locali e di alcuni settori della chiesa cattolica, la popolazione di El Triunfo ha realizzato una consultazione popolare che ha coinvolto quasi 9 mila persone. Il risultato non lascia dubbi: il 97,9 per cento ha votato contro le miniere, in particolare contro il progetto dell’azienda canadese Minera Los Lirios la quale, offrendo opere sociali, ‘comprando’ coscienze e seminando divisione, aveva inutilmente tentato di far partire il progetto estrattivo.

La decisione della popolazione è il risultato di quasi 20 anni di duro lavoro di coscientizzazione popolare e di organizzazione comunitaria in difesa del territorio e dei beni comuni.

Non si può rimanere neutrali

Padre Florentino Hernández ha 51 anni ed è parroco a El Triunfo. Per diversi anni ha accompagnato la lotta della popolazione contro i progetti minerari.

Nel 2015 monsignor Guido Charbonneau, vescovo di Chuloteca, decise di trasferirlo in una parrocchia di Nacaome, a quasi 100 chilometri da El Triunfo. Padre Florentino si dichiarò obiettore di coscienza e rifiutò il trasferimento. La decisione di sfidare il potere gerarchico per rimanere a fianco del popolo non solo gli causò molti problemi, ma mise a rischio la sua stessa vita.

“Mi identifico con la liberazione dei popoli. Sono una persona tollerante e di solito non prendo le cose di petto, ma in questo caso non posso accettare il trasferimento”, ha detto padre Florentino alla delegazione di Cofadeh e Rel-UITA che ha visitato la zona.

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Honduras Zacate Grande e la criminalizzazione della protesta*

Honduras
Zacate Grande e la criminalizzazione della protesta*

Ordini di cattura e repressione contro la popolazione mentre il ‘presidente’è accusato di rapporti con i narcos

Choluteca, 3 ottobre (LINyM) 

Il 22 settembre è stata arrestata María Concepción Hernández, abitante del caserío Puerto Sierra, adiacente a Playa Blanca, una delle 11 comunità della penisola di Zacate Grande, che si estende nel Golfo di Fonseca nel sud dell’Honduras.

Dopo l’arresto, María Concepción è stata immediatamente portata in tribunale ad Amapala (Isla del Tigre) con l’accusa di danneggiamento continuato e aggravato ai danni del latifondista Jorge Luis Cassis Leiva.

Gli inizi del conflitto

La situazione economica delle famiglie di Puerto Sierra è molto precaria e le persone sopravvivono principalmente di agricoltura e pesca. La sistemazione di un terreno abbandonato, per trasformarlo in un parcheggio occasionale per persone che visitano la spiaggia durante la stagione estiva e le feste, è un modo per migliorare un poco le proprie condizioni di vita.

A partire dal 2015 sono cominciati ad arrivare i turisti e il parcheggio ha preso vita. Le cose andavano bene per le 45 famiglie coinvolte nel piccolo progetto turistico, fino a quando Cassis Leiva decise di denunciare alcuni leader comunitari per usurpazione e danni.

Dopo essere rimasti in prigione per più di cento giorni, nel 2017 Abel Pérez e Santos Hernández sono stati condannati a 5 anni e un mese di reclusione e stanno aspettando la cassazione (leggi il reportage di Alba Sud).

Alcuni mesi dopo, María Veneranda Cruz, Oneyda Cárdenas Flores, Jessica Cruz Cárcamo e Jacinto Hernández Cruz furono accusati dallo stesso Cassis Leiva di aver demolito un muro che aveva costruito per delimitare la sua proprietà.  Ciò che il latifondista non ha mai detto è che questo muro circondava praticamente l’intero villaggio, impedendone l’accesso a più di 60 famiglie (leggi il reportage di Alba Sud)

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Honduras: Intervista a Raúl Álvarez detenuto politico

Honduras “Non mi hanno piegato e la lotta continua”

Intervista a Raúl Álvarez detenuto politico

Tegucigalpa, 30 agosto (Rel-UITA | LINyM)

Il 16 agosto è stato un giorno speciale per Raúl Álvarez. Dopo quasi 20 mesi rinchiuso in una prigione di massima sicurezza – di massima tortura direbbe Bertha Oliva del Cofadeh – il tribunale ha di fatto riconosciuto gli errori e le illegalità (intenzionali?) commesse nell’udienza preliminare e gli ha concesso misure alternative alla detenzione.

Nel gennaio dell’anno scorso, durante l’ondata di proteste seguita ai brogli elettorali che portarono alla riconferma di Juan Orlando Hernández alla presidenza, Raúl Álvarez e Edwin Espinal furono arrestati e accusati dei reati di incendio doloso e danni alla proprietà privata.

Entrambi potranno ora attendere l’inizio del processo da persone libere e chiedono con forza che anche a Rommel Herrera e Gustavo Cáceres, gli altri due detenuti politici arrestati in situazioni simili alla loro, siano concesse le stesse misure alternative.

Pochi giorni dopo il suo rilascio, Raúl, un ex poliziotto impegnato nella lotta per un Honduras migliore, ha conversato con La Rel y la LINyM.

-Cosa si prova a essere di nuovo libero?

-Non ci credevamo quasi più. Quello che è successo a partire dal nostro arresto, l’udienza preliminare e la decisione di rinchiuderci in un carcere di massima sicurezza, tutto quello che abbiamo sofferto in questi mesi, ci aveva tolto quasi tutte le speranze.

Quando ce l’hanno detto non ci potevamo credere. Sono felice perché ho potuto riabbracciare  la mia famiglia, i miei amici. Ed ora eccomi qui.

-Come sono stati questi 20 mesi?

-Sono stati duri, molto difficili. Dal momento della cattura e della nostra reclusione in quel carcere (La Tolva) abbiamo subito un trattamento crudele e disumano. Ci limitavano le visite  e ci siamo sentiti sempre in pericolo di vita. La violazione dei nostri diritti è stata costante.

Ma noi siamo abituati a combattere e quindi siamo riusciti ad allontanare le minacce, a proteggere le nostre vite e a uscire illesi da questo incubo. È comunque una vergogna che le autorità carcerarie non abbiano fatto nulla per proteggerci.

-Qual è stato il momento più difficile?

-Uno dei momenti più difficili è stato quello dopo la mia cattura, quando mi hanno presentato alla società come un pericoloso criminale, un ex poliziotto diventato terrorista. Ma quello che mi ha scosso nel profondo è aver perso mia figlia mentre ero in prigione. Mia moglie era incinta di quattro mesi e mezzo ed era una cosa che avevamo sempre desiderato.

Inoltre la mia casa è stata perquisita illegalmente dalla polizia e mia madre ha cominciato a stare male. Alla fine si è dovuta trasferire a San Pedro Sula e non ci siamo visti per molti mesi. Questa è solo una parte delle cose che mi ha tolto la dittatura.

-Ti sei mai sentito in pericolo?

-Continuamente. L’ambiente era molto ostile e ci minacciavano di continuo. Dicevano che eravamo della Resistenza e che per colpa nostra erano stati sospesi vari benefici, come per esempio le visite familiari e coniugali. Ci accusavano anche per i ritardi nell’approvazione del nuovo Codice penale che prevede la riduzioni di pena per vari delitti.

È stato grazie alla pressione a livello nazionale e internazionale se siamo riusciti a cambiare padiglione e a proteggerci da possibili attacchi.

-Perché senti di essere un detenuto politico?

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Honduras-“Creiamo progetti di vita e allo Stato non frega niente”

Honduras
Creiamo progetti di vita e allo Stato non frega niente”

Popolazione garifuna denuncia minacce e attacchi
Tegucigalpa, 17 agosto (LINyM) .
Il popolo garifuna è sotto attacco in Honduras. Progetti estrattivi, energetici, agroesportatori, turistici e petroliferi, associati alla presenza della criminalità organizzata e del traffico di stupefacenti e all’inoperanza e complicità dello Stato, stanno mettendo seriamente in pericolo la sopravvivenza e il futuro di decine di comunità che resistono e lottano contra la minaccia d’espulsione e un nuovo esilio (dopo quello subito nel 1797 dall’isola di San Vicente/Antille Minori).
Nel 1997, al popolo garifuna è stata riconosciuta la proprietà comune dei 980 ettari del territorio di Vallecito, dipartimento di Colón (nord dell’Honduras). L’anno successivo, il latifondista Miguel Facussé Barjum ha invaso parte di queste terre per piantare palma africana.

Una sentenza della Corte suprema di giustizia l’ha obbligato a rinunciare alle sue pretese sulle terre garifuna. Pochi mesi dopo, persone legate al crimine organizzato hanno occupato quasi l’80% del territorio di Vallecito e hanno costruito una pista d’atterraggio clandestina per il traffico di droga.

Nel 2013 le terre sono finalmente tornate in mano alla comunità garifuna di Vallecito, legata alla Ofraneh (Organizzazione fraternale nera honduregna). Nonostante le minacce, gli attacchi fisici e psicologici, i ripetuti sabotaggi e l’assedio permanente, le famiglie hanno deciso di esercitare il loro diritto alla proprietà collettiva, avviando progetti di sovranità alimentare che si propongono di garantire il futuro di migliaia di famiglie.

Gli attacchi però non sono mai cessati. La comunità di Vallecito e la dirigente garifuna Miriam Miranda – entrambi godono di misure cautelari disposte dalla Commissione interamericana dei diritti umani, rimaste incompiute da parte dello Stato honduregno – vivono sotto la costante minaccia di nueve e potenzialmente fatali aggressioni.

Perfino le misure di vigilanza a carico della polizia, che hanno funzionato durante il 2014 e 2015, sono state inspiegabilmente soppresse.

“Negli ultimi mesi si è intensificata la presenza di persone armate. Rompono il recinto che abbiamo costruito ed entrano con macchine e moto. La comunità è molto preoccupata”, ha detto Miranda alla LINyM

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Honduras. Attacchi mortali contro la comunità Lgbti

Honduras.
Attacchi mortali contro la comunità Lgbti
Un massacro silenzioso e silenziato

Tegucigalpa, (Rel-UITA | LINyM)
La comunità Lgbti è di nuovo in lutto in Honduras, dove l’impunità regna sovrana e la giustizia muore giorno dopo giorno. Tre omicidi in cinque giorni di donne trans hanno portato a più di 320 il numero delle vittime durante l’ultimo decennio.

Mercoledì 3 luglio, a Yoro, hanno sparato a Antonia Láinez uccidendola sul colpo. Poche ancora le informazioni sull’agguato. Tre giorni dopo, a Puerto Cortés, la presentatrice televisiva e attivista Lgbti Santi (Santiago) Carvajal è stata raggiunta da vari colpi di pistola che l’hanno uccisa. Il 7 luglio, a Comayagüela, sconosciuti hanno scaricato le proprie armi contro l’attivista trans Bessy Ferrera, ferendo gravemente un’altra persona che era con lei.

Secondo i dati dell’Osservatorio sulle morti violente di persone Lgbti della Rete Cattrachas, si avvicina oramai a 330 il numero di persone assassinate dopo il colpo di stato del 2009. Il 96 per cento di questi crimini è rimasto impunito.

L’Iniziativa mesoamericana delle donne che difendono i diritti umani (IM-Defensoras) ha avvertito che fare parte o difendere i diritti della comunità Lgbti in Honduras “espone le persone a gravi rischi e alla precarietà, situazione questa che ha a che fare sia con l’impianto normativo etero-patriarcale che esiste nel paese, sia con l’omissione da parte dello Stato quando si tratta di garantire protezione e accesso ai diritti fondamentali”.

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