Commissione parlamentare presenta nuovo rapporto sulla crisi in Nicaragua

Commissione parlamentare presenta nuovo rapporto sulla crisi in Nicaragua

Nuovi dati su decessi, incidenza dei social, ruolo della chiesa cattolica. Crollano fakenews e ‘luoghi comuni’
Managua, 11 febbraio 2019 (LINyM | ALAI) -.

L’ultimo rapporto, il terzo, presentato nei giorni scorsi dalla Commissione parlamentare per la verità, giustizia e pace (CVJP), creata con l’obiettivo di indagare, analizzare e chiarire gli episodi di violenza e le morti avvenute durante la crisi socio-politica iniziata il 18 aprile 2018, presenta importanti novità tra cui l’aggiornamento delle cifre dei morti – organizzazioni nazionali e internazionali per i diritti umani continuano a presentare dati gonfiati e diversi tra loro -, l’incidenza dei social sull’accuirsi della crisi, l’impatto traumatico sulla popolazione e le conseguenze psicosociali e il ruolo della chiesa cattolica.

Leggi e scarica qui il terzo rapporto della CVJP

Secondo il documento, “dopo un rigoroso percorso di ricerca, analisi e verifica” si è in grado di determinare che il numero di persone decedute è di 253, in prevalenza uomini (243) e minori di 35 anni (175). Dei decessi totali, 220 sono direttamente collegati al conflitto, 27 a seguito del fuoco incrociato e 6 non hanno a che fare in modo diretto con esso.

Almeno 9 delle persone che appaiono nelle liste pubblicate dalle organizzazioni per i diritti umani, tra cui il Gruppo interdisciplinare di esperti indipendenti (GIEI) dell’Organizzazione degli stati americani (OSA), non esistono. C’è anche una differenza di 14 morti tra i due elenchi (CVJP e GIEI /OEA).

Un altro dato importante che smantella in parte la teoria del “massacro di oppositori pacifici e disarmati”, diffusa dai gruppi dell’opposizione, dalle organizzazioni internazionali per i diritti umani e ripresa sia dall’OSA che dall’Ufficio dell’alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (UNHCHR) e dai media mainstream, è quello relativo al totale delle morti: 31 appartengono a “gruppi di autoconvocati” (opposizione), 48 sono presunti affiliati sandinisti, 22 sono poliziotti e per i restanti 152 non ci sono informazioni certe (pag 6 del rapporto CVJP).

I tranques della morte

140 persone sono morte a causa dei tranques (barricate) – centinaia in tutto il paese – eretti dai gruppi di opposizione, 31 durante le proteste per la riforma della previdenza sociale, 27 a causa del fuoco incrociato, 13 sono stati uccisi per cause indipendenti dalla protesta (assalti, rapine) e 11 tutelando la proprietà pubblica e privata.

Il 56% dei decessi (141) si è verificato tra maggio e giugno 2018, dopo l’annuncio dell’apertura del tavolo di dialogo tra governo e opposizione e l’immediato proliferare di tranques in tutto il Paese “come forma di coercizione contro il governo”.

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America Latina-Se vuoi annegare l’ALBA accusala di avere la rabbia-

Se vuoi annegare l’ALBA accusala di avere la rabbia
Offensiva contro il progetto di cooperazione politica, sociale ed economica tra i paesi dell’America latina e i paesi caraibici

Managua, 5 febbraio (Mémoire des Luttes | LINyM)

In un discorso pronunciato il 1° novembre dalla “Freedom Tower”, simbolo dell’esilio cubano a Miami, l’assessore della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, John Bolton, ha fatto riferimento a una “troika della tirannia” e a un “triangolo del terrore” parlando di Cuba, Nicaragua e Venezuela, i tre membri dell’Alleanza bolivariana dei popoli della Nostra America, Alba. Come conseguenza dell’investitura di Nicolás Maduro il 10 gennaio, data dell’inizio del suo secondo mandato, è principalmente verso Caracas che la “comunità internazionale” volge il suo sguardo.

Sulla stessa linea d’onda di Washington, il Segretario generale dell’Organizzazione degli Stati Americani, Osa, Luis Almagro, ha convocato una sessione straordinaria per affrontare la situazione in quel paese, con la speranza, fino a ora mille volte disillusa -per mancanza del quorum necessario- di poter applicare sanzioni al Venezuela.

Come preambolo, il 4 gennaio, i tredici paesi “pro Washington” che fanno parte del Grupo de Lima[1], sponsorizzati via videoconferenza dal Segretario di stato nordamericano Mike Pompeo, dalla capitale peruviana avevano confermato che non avrebbero riconosciuto il nuovo mandato di Maduro.

Una decisione priva di legittimità che il Messico, membro fino ad allora del “cartello” che però recentemente aveva virato verso il centro sinistra dopo le elezioni di Andrés Manuel López Obrador (AMLO), ha rifiutato di avallare. Un’azione denunciata anche da Cuba, Nicaragua e Bolivia -membri dell’ALBA-, dal governo uruguaiano (di centrosinistra) e dai movimenti sociali latino americani. Il 10 gennaio la Osa l’ha però approvata con 19 voti a favore, 6 contrari, 8 astensioni e una assenza.[2]

Anche se meno evidente, l’offensiva messa in atto da Washington e dalla destre del continente rappresenta una seria minaccia anche per il Nicaragua sandinista. Come già accaduto nel 2015 con Barack Obama, in quel caso contro Caracas, il presidente statunitense Donald Trump ha firmato il 27 novembre 2018 un assurdo “ordine esecutivo” nel quale si  dichiara che il governo nicaraguense rappresenta una “minaccia alla sicurezza nazionale” degli Stati Uniti.

Il 20 dicembre viene approvata la legge che condiziona gli investimenti in Nicaragua, una legge portata avanti da due anni e mezzo dall’élite dei neocon (nuovi conservatori) statunitensi: la congressista di origine cubana Ileana Ros-Lehtinen, i senatori Ted Cruz, Marco Rubio (anche loro repubblicani) e Bob Menéndez (democratico).

Approvata all’unanimità dal Senato e dalla Camera dei Rappresentanti, la “Nica Act” autorizza sanzioni contro figure di spicco del Fronte sandinista di liberazione nazionale, Fsln, tra cui il presidente Daniel Ortega e la moglie, la vicepresidente Rosario Murillo, e ha come obiettivo quello di limitare l’accesso del Nicaragua ai prestiti internazionali.

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Honduras “Per rovesciare la dittatura dobbiamo unirci”

“Per rovesciare la dittatura dobbiamo unirci”
Culmina una settimana di proteste in Honduras
Tegucigalpa, 28 gennaio (Rel-UITA | LINyM)  

Il 27 gennaio, a un anno dall’insediamento di un presidente e di un governo che sono il risultato di una scandalosa frode elettorale, si è conclusa la settimana di protesta indetta dalla Convergenza contro il continuismo e da Azione cittadina contro la dittatura, che è culminata con mobilitazioni a livello nazionale del Partito libertà e rifondazione, Libre.

Carlos H. Reyes, membro della Convergenza e storico sindacalista honduregno ha analizzato per La Rel la portata di questa settimana di azione popolare.

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“E’ stata una settimana di manifestazioni e presidi che avevano lo scopo di denunciare la dittatura che si è installata nel nostro paese. Si tratta di una dittatura “speciale” perché oltre a essere oligarchica e godere dell’appoggio dei militari e dell’impero ‘gringo’, affonda le proprie radici nel narcotraffico, la criminalità organizzata, la corruzione e l’impunità.

La nostra lotta è contro questa dittatura, per obbligare Juan Orlando Hernández a lasciare un posto di presidente che sta usurpando, per il rilascio di tutti i prigionieri politici, per inchiodare alle proprie responsabilità chi ha commesso gravi crimini durante e dopo le elezioni dell’anno scorso e per esigere il rispetto della libertà d’espressione.

– Che tipo di attività sono state svolte?
– Abbiamo svolto presidi davanti a Radio Globo, alla Procura generale e alla Corte suprema di giustizia. Abbiamo anche presentato uno scritto alla Procura affinché indaghi sui rapporti esistenti tra Juan Orlando Hernández e suo fratello Tony Hernández, il quale è stato arrestato negli Stati Uniti per legami con il narcotraffico. Abbiamo anche visitato il rappresentante residente dell’Alto Commissariato dell’ONU per i diritti umani in Honduras e svolto due presidi davanti all’ambasciata degli Stati Uniti.

Abbiamo partecipato infine alla mobilitazione promossa dal partito Libre a livello nazionale e anche a vari programmi radiofonici e televisivi per fare conoscere, a livello nazionale e internazionale, i principali punti della nostra agenda politica e la nostra lotta per porre fine a questa dittatura.

– Perché la decisione di manifestare di fronte all’ambasciata degli Stati Uniti?

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Per un anno nuovo di lotte e resistenza

Bollettino pdf  )– Nicarahuac 147

Sostenere l’Associazione Italia – Nicaragua vuol dire sostenere i percorsi di liberazione dei popoli dalla morsa del neocolonialismo. Vuol dire rafforzare i legami che solo i saldi principi della Solidarietà Internazionale possono garantire. I tentativi di destabilizzazione e di golpe, sfacciatamente sferrati nei confronti di modelli alternativi a quelli del dominio, riguardano i diritti di tutt*. In qualsiasi angolo del pianeta.

Coscienza e Resistenza devono andare di pari passo.
La lotta è una, o non è nessuna.”
Per onorare la Memoria di eroi e martiri della rivoluzione e dei/delle compagni/e sandinisti/e, barbaramente uccisi in questi ultimi mesi da gruppi eversivi per rovesciare un governo legittimamente eletto e sostituirlo con uno gradito agli interessi degli USA.
Con l’impegno di appoggiare sempre la causa sandinista. Sandino Vive, la lucha sigue.

Coordinamento dell’Associazione di Amicizia e Solidarietà Italia Nicaragua
Dicembre 2018

 

 

Nicaragua-La mano che fa dondolare la culla

 

Nicaragua
La mano che fa dondolare la culla

Il 18 aprile in Nicaragua è esplosa una protesta che la stampa ha raccontato in un solo modo: un governo autoritario che reprime brutalmente un movimento pacifico, spontaneo, apartitico.
Ma se la cospirazione è guidata e finanziata da Washington non è poi così semplice spiegare cosa ci sia davvero sotto

Managua, 12 dicembre (Canal Abierto | LINyM)

In aprile il presidente del Nicaragua, Daniel Ortega, ha proposto una riforma del sistema pensionistico. La misura ha provocato la reazione della popolazione e le proteste sono poi degenerate in episodi violenti che sono stati repressi dalle forze dell’ordine.

I settori dell’opposizione affermano che le manifestazioni hanno mostrato il malessere dei cittadini nei confronti di un governo autoritario e decadente, mentre il governo e il Fronte sandinista di liberazione nazionale, Fsln, denunciano il tentativo di destabilizzare le istituzioni con il sostegno di forze esterne al paese.

Lo scontro rimanda inevitabilmente alle guarimbas venezuelane del 2014. Lo stesso modus operandi fomentato dal mainstream e dalle reti sociali. Attraverso l’hashtag #SOSNicaragua il governo sandinista è stato sistematicamente demonizzato, mentre dietro il sipario i burattinai muovevano i loro fili.

Nessuna immagine degli edifici pubblici incendiati a Managua, Granada, Leon e Masaya; nessuna immagine dei saccheggi nelle sedi del Fsln un po’ in tutto il paese, nemmeno dei militanti sandinisti percossi, torturati e bruciati vivi in mezzo alla strada o uccisi con tattiche paramilitari.

Per quale ragione la stampa “indipendente” non ha mai pubblicato la notizia che “i manifestanti pacifici”, per esempio, hanno assassinato a La Trinidad il responsabile locale sandinista Miguel Ramos, hanno distrutto l’emittente Nueva Radio Ya, hanno dato fuoco alla Caja Rural Nacional (Caruna), o hanno saccheggiato l’edificio del Ministero dell’Economia Famigliare?

La polarizzazione storica

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Honduras Giustizia insapore

Honduras

Giustizia insapore
Intervista a Bertha Zúniga dopo la sentenza sull’omicidio di Berta Cáceres

Tegucigalpa, 3 dicembre (Rel-UITA | LINyM) -.

Sette degli otto imputati per l’omicidio di Berta Cáceres e per il tentato omicidio dell’ambientalista messicano Gustavo Castro, unico testimone del delitto, sono stati condannati lo scorso 29 novembre. Sia la famiglia che il Copinh, organizzazione della quale la Cáceres era coordinatrice, sostengono che la sentenza non soddisfa la loro esigenza di giustizia.

Dopo la presentazione di motivi, la prima sezione penale del Tribunale di Tegucigalpa ha riconosciuto Sergio Rodríguez, Douglas Bustillo, Mariano Díaz, Elvin Rápalo, Oscar Torres, Edison Duarte ed Henry Hernandez colpevoli dell’omicidio della dirigente indigena.

Rápalo, Torres, Duarte ed Hernández, autori materiali del crimine, sono anche stati condannati per il tentato omicidio di Castro. Emerson Duarte è stato invece assolto da tutte le imputazioni e liberato.

Ai sette è stata confermata la carcerazione preventiva, in attesa che il 10 gennaio i giudici comunichino l’entità delle condanne.

Cala così il siparo sul primo grado del processo per l’omicidio di Berta Cáceres, un processo costellato da irregolarità e illegalità, come la mancanza di accesso delle parti alle informazioni del caso, distruzione e alterazione delle prove, superficialità nelle indagini, mancanza di volontà da parte del Pubblico ministero di indagare sui mandanti dell’omicidio e addirittura la recente esclusione dei legali delle vittime dal caso.

La corte si è anche rifiutata di considerare i membri del Copinh come vittime all’interno del processo e non ha voluto chiamare a testimoniare i maggiori azionisti dell’azienda Desarrollos Energéticos SA (DESA), proprietaria del progetto idroelettrico Agua Zarca -contro cui si battevano la Cáceres e il Copinh-, tutti appartenenti alla facoltosa e potente famiglia Atala Zablah.

Sentenza agrodolce

Bertha Zúniga Cáceres, attuale coordinatrice del Consiglio civico delle organizzazioni popolari e indigene dell’Honduras (Copinh) e figlia della dirigente sociale assassinata nella notte del 2 marzo 2016, ha parlato della sentenza con la LINyM.

– Siete soddisfatti della sentenza?

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Comunicato delle donne nicaraguensi residenti in Aragona

Comunicato delle donne nicaraguensi residenti in Aragona

PATRICIA ARDILAS, KASSIA CASTELLÓN, SOCORRO CASTILLO, BELKI GAMBOA, CLAUDIA HERNÁNDEZ, MARÍA PARAJÓN, FABIOLA SCHÄFER, DOLORES TÉLLEZ, MARTINA VALLE y JOSEFINA ZELEDÓN

A fronte dei  vari comunicati e delle azioni realizzati da diversi collettivi femministi , sia del Nicaragua che dell’Aragona,  i quali  pretendono  rappresentare  il popolo del Nicaragua, e in particolare le donne;  e vista la piega che hanno preso gli eventi ,  abbiamo deciso di esprimere  la nostra opinione.
Siamo donne nicaraguensi, migranti, che risiedono da lungo tempo in Aragona. Siamo femministe,
e QUESTE DONNE NON CI RAPPRESENTANO.
Abbiamo ascoltato dai comunicati, dalle reti sociali e perfino nei mezzi di comunicazione, che bisognava abbattere il governo; però mai abbiamo sentito proposte o alternative per il miglioramento della situazione politica, economica e sociale della popolazione del Nicaragua, e nello specifico delle donne nicaraguensi.

Quelle  donne che dicono di rappresentare hanno dovuto subire  la presenza di più di mille barricate in tutto il paese,  che hanno impedito loro di raggiungere il loro posto di lavoro,  hanno dovuto pagare dei pedaggi per  poter attraversare quelle barricate o non hanno potuto svolgere la loro attività produttiva, com’è  il caso di migliaia di donne che gestiscono  un piccolo commercio.
Questo fatto ha portato un gran numero di donne a perdere  il loro mezzo di sussistenza, ricadendo nell’estrema povertà; e tenendo conto che in Nicaragua  molte donne sono il sostegno economico della loro famiglia,  ci chiediamo:  la povertà estrema ha mai aiutato le donne ad acquisire potere?

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Bollettino Nicarahuac

Bollettino Nicarahuac 146
In questo numero:
Pag. 1-2
RIUNIONE ASSOCIAZIONE ITALIA NICARAGUA
– DI FALLITI GOLPE E SINISTRE CONFUSE di M. Angelilli
Pag. 3-4-5
HONDURAS: CASO BERTA CACERES di Giorgio Trucchi
– CUBA FORUM SAN PAOLO (SOSTIENE  NICARAGUA) 
Pag. 6-7
BRASILE VERSO LE ELEZIONI DEL 7 OTTOBRE di Sergio Ferrari
Pag. 8
MURALES CHIESA SANTA MARIA DEL LOS ANGELES MANAGUA
 

Honduras Miriam Miranda: Parlare di Berta

Honduras: Miriam Miranda: “Parlare di Berta vuol dire parlare delle lotte che ci aspettano

L’eredità che ha lasciato al mondo

Tegucigalpa, 25 settembre (Rel-UITA | LINyM) -.

Il pensiero politico e l’eredità di Berta Cáceres sono stati gli argomenti al centro dell’incontro “No se agüiten, compas”, organizzato dalla RNDDHH1 e realizzato nell’ambito delle attività che hanno accompagnato l’inizio del processo contro gli imputati per l’omicidio della dirigente indigena lenca.

Miriam Miranda, coordinatrice di Ofraneh2, ha conversato con La Rel su questo momento così importante.

-In che contesto si svolge il processo?

-È un contesto ostile che rende complicata la ricerca della verità. Non dobbiamo dimenticare che subito dopo l’omicidio di Berta, lo Stato ha promosso una strategia per nascondere il vero motivo del crimine. Inoltre ha ordito una trama con l’evidente intenzione di distorcere la figura e il pensiero di Berta.

Non vogliono che si sappia che Berta è stata uccisa per il lavoro e le lotte portate avanti, insieme al Copinh3, per la difesa della terra e dei beni comuni, per i diritti dei popoli indigeni e contro il modello neoliberista, razzista e patriarcale che sviluppa progetti di morte.

Per questa ragione sul banco degli imputati non ci sono gli autori intellettuali del crimine, quelli che cioè hanno ordito e finanziato l’omicidio. Non hanno nemmeno accettato che il Copinh partecipasse come parte offesa, nè che i membri della famiglia Atala Zablah-4 fossero citati come testimoni del processo.
Per questa ragione, il pubblico ministero si è rifiutato un’infinità di volte di mettere a disposizione delle parti tutte le informazioni e le prove raccolte.

Lo Stato è complice e non c’è volontà politica di arrivare alla verità. Non ha nemmeno avuto la decenza di chiudere una volta per tutte il progetto idroelettrico Agua Zarca, che è la causa del conflitto che ha portato all’omicidio di Berta.

-C’è un clima molto ostile nei confronti di chi difende la terra e i beni comuni.

-Esatto. E questo va oltre il caso di Berta. In Honduras esiste una chiara volontà di difendere a tutti i costi un modello che saccheggia e depreda. Chi si oppone lo fa a suo rischio e pericolo.

Ci stigmatizzano, ci criminalizzano, ci minacciano e ci assassinano. Dicono che siamo contro lo sviluppo, che siamo dei vandali, dei criminali, dei terroristi. E intanto infuria la repressione con nuove espropriazioni e lo sfollamento di intere comunità che lottano contro le miniere, i progetti energetici e l’espansione della palma africana.

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