Sfide cruciali di un’America Latina in movimento

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2016,tra l’alternanza politica e la mobilitazione sociale

di  Sergio Ferrari*

Le ultime settimane del 2015 hanno visto grossi cambiamenti nella dinamica politica di un continente egemonizzato nell’ultima decade da governi progressisti. L’alternanza elettorale occupa un posto preponderante in questa nuova tappa dell’America latina che, in meno di 30 anni, ha virato da dittature brutali a democrazie in processo di consolidamento.

L’arrivo al governo argentino di Mauricio Macri il 10 dicembre, la sconfitta nelle elezioni legislative venezuelane il 6 dicembre con la perdita della maggioranza parlamentare, la domanda di giudizio politico nei confronti della brasiliana Dilma Rousseff, costituiscono i fatti recenti più noti che marcano la nuova congiuntura continentale. In questa, la soluzione negoziata del conflitto colombiano, sembra una possibilità oggi più reale dopo metà secolo di guerre interne.

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MARTEDI 22 DICEMBRE: Tweetstorm contro il CETA, cugino del TTIP

Car*,
Vi scriviamo poco prima delle feste invitandovi a chiudere questo 2015 di campagna con un martedì 22 dicembre di tweetstorm. Questa volta, in accordo con le altre realtà Stop TTIP europee, vorremmo mettere nel mirino il CETA, l’accordo Ue-Canada, in un inedito #CETATuesday.
Come sapete, sarà questo trattato – già concluso e in attesa della ratifica del Parlamento europeo – la base sulla quale verrà costruito il TTIP. I due accordi sono strettamente legati fra loro, e le mine democratiche seppellite nel CETA devono essere disinnescate tanto quanto quelle di cui è disseminato il TTIP.
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Pubblicato in TTIP.

L’arte di vincere si impara dalle sconfitte

Venezuela.7dic.2015di Marco Consolo –

È una dura sconfitta quella subita dal processo bolivariano in Venezuela nelle elezioni parlamentari di domenica 6 dicembre. Con circa il 18% di differenza, l’opposizione conquista la maggioranza del parlamento che ha rinnovato i suoi 167 deputati. Un parlamento che, grazie alla recente legge elettorale, sarà composto al 40% da donne. Con circa il 25% di astensione, al momento in cui scriviamo i risultati (ancora parziali) assegnano ben 99 seggi all’opposizione e solo 46 alle forze socialiste, nella quarta legislatura dall’avvento dello scomparso Hugo Chávez. Mancano ancora 22 seggi da assegnare e sono quelli che faranno la differenza, dato che con la maggioranza dei 2/3 l’opposizione avrebbe poteri molto più incisivi. L’opposizione celebra nelle strade di Caracas – Foto Carlos Becerra (Bloomberg) È l’elezione numero 20 nei 17 anni del processo bolivariano, iniziato proprio un 6 dicembre del 1998, con la prima vittoria di Hugo Chávez, che mise in moto il processo della Rivoluzione bolivariana. Fino a ieri, l’unica sconfitta delle forze socialiste era stata quella sulla riforma costituzionale del 2007, quando l’opposizione alla riforma ottenne una “vittoria pirrica” con il 50,7%. Ancora una volta, la “dittatura chavista” ha dato esempio di trasparenza ed onestà. Un esempio per molti Paesi del mondo, a partire dagli stessi Stati Uniti. Nonostante gli strepiti della destra, le elezioni si sono svolte in maniera esemplare, come tutte le precedenti.

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Si prepara un intervento militare statunitense in Venezuela?

Plan-desestabilizar-a-Venezuela-600x337Il giornalista Rafael Poleo parla di una imminente invasione del Venezuela

Attilio Folliero, Caracas 28/11/2015

Il giornalista venezuelano Rafael Poleo, della destra più estrema e reazionaria il 26 novembre ha pubblicato una serie di Twitter; in uno di questi segnala l’imminenza di una invasione militare internazionale in Venezuela, come quella della Repubblica Dominicana nel 1965. La Repubblica Dominicana nel 1965 fu invasa dalle forze statunitensi ed ovviamente quando il Poleo parla di una invasione internazionale in Venezuela si riferisce alle forze statunitensi.

Ricordiamo anche che Barack Obama nello scorso mese di marzo ha emesso un decreto con il quale ha dichiarato il Venezuela un pericolo speciale per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Tutte le volte che gli USA hanno emesso un simile decreto hanno poi proceduto ad invadere il paese oggetto del decreto stesso.

In altri due twitter immediatamente precedenti a quello appena analizzato, il Poleo fa riferimento alle imminenti elezioni parlamentari venezuelane. Secondo il Poleo  “il regime di Maduro starebbe per sospenderle di fronte alla irrimediabile sconfitta”. Inoltre – aggiunge – che gli atti criminali accelerano la fine del regime e diminuiscono le possibilità che il Partito Socialista PSUV sopravviva come partito.

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Argentina: il tango a destra

mauricio macridi Marco Consolo

Festeggia la destra argentina e quella continentale. Con una differenza di meno del 3% e uno stretto margine di 700.000 voti, al ballottaggio vince il suo candidato, Mauricio Macri, il “Berlusconi argentino”, che ha battuto Daniel Scioli, il candidato del Frente para la Victoria che in certo modo rappresentava il continuismo (51.6 % a Macri, 48,3 % a Scioli, 22 % di astensionismo). L’insediamento di Macri è previsto per il 10 dicembre. E’ la prima volta dal 1998, anno in cui Hugo Chavez vinse le elezioni in Venezuela, che le urne riconsegnano alla destra il governo di un Paese che stava cercando un’alternativa.

Fattore decisivo della vittoria è stato il voto del peronismo conservatore, che al primo turno aveva votato per Sergio Massa, piazzatosi terzo. Fiutata l’aria, Massa aveva chiesto un segnale di “cambiamento”, implicitamente garantendo il suo appoggio “critico” alla destra di Macri che è riuscito a sommare i voti di una parte importante dell’elettorato conservatore del peronismo. Massa oggi mette a disposizione gli eletti nelle diverse Province ed i suoi voti in Parlamento.
Nel risultato ha giocato anche l’appoggio alla destra da parte dei “socialdemocratici” dell’Unión Cívica Radical, passati armi e bagagli con la destra sin dal primo turno.

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Cuba responsabilizza gli Usa per crisi migratoria in Centroamerica

cubaricaCittadini cubani ancora bloccati sul confine tra Nicaragua e Costa Rica

Managua, 19 novembre (LINyM) -. Il governo di Cuba ha emesso ieri un comunicato nel quale accusa gli Stati Uniti per la grave crisi migratoria che coinvolge migliaia di cittadini cubani, bloccati sul confine tra il Costa Rica e il Nicaragua.

In modo particolare, punta l’indice contro le politiche migratorie statunitensi, come la Legge de Ajuste Cubano e la politica “piedi asciutti, piedi bagnati”, che di fatto incentivano l’emigrazione illegale di cubani verso il territorio nordamericano, garantendo loro l’immediata concessione della residenza.

Non importa come arrivino e se per farlo devono percorrere migliaia di chilometri in balia delle reti criminali del traffico di migranti, come sta accadendo a circa duemila cubani che sono partiti dall’Ecuador, hanno attraversato la Colombia e Panama, e che ora sono bloccati sul confine tra i due paesi centroamericani.

Una situazione che ha fatto lievitare nuovamente le tensioni tra le due nazioni, che proprio in questo momento (giovedí) stanno discutendo il tema all’interno della Commissione di sicurezza del Sistema d’integrazione centroamericano, Sica, per ora senza risultati tangibili.

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Cresce nuovamente la tensione tra Nicaragua e Costa Rica

cubani

Migliaia di cittadini cubani bloccati sul confine delle due nazioni centroamericane

Managua, 18 novembre (LINyM) -. Ai conflitti di frontiera esplosi negli ultimi anni, prima per il dragaggio del fiume San Juan -che delimita il confine dei due Stati-, poi per il riconoscimento della sovranitá sulla piccola isola fluviale di Habour Head, si aggiunge ora un nuovo elemento di tensione che mette a dura prova le relazioni diplomatiche tra le due nazioni centroamericane.

Da alcuni giorni, infatti, circa duemila cittadini cubani, la maggior parte dei quali senza documenti, si sono assiepati alla frontiera terrestre nicaraguense di Peñas Blancas e chiedono di poter entrare in Nicaragua per proseguire la loro marcia verso gli Stati Uniti.

Difficile capire come ci siano arrivati in Costa Rica. Secondo vari fonti, scartata oramai l’ipotesi “gommoni” per percorrere le poche decine di miglia nautiche che separano Cuba dalla Florida e considerando la freddezza nordamericana nei confronti di nuovi arrivi in questa fase di aperture diplomatiche tra i due Paesi, la “via fuga” sembra sia diventata quella terrestre.

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COP21, CASA COMUNE E AMAZZONIA

cop21-label_reduit Osvaldo Leon e Sally Burch, giornalisti di ALAI

ALAI  America Latina, 25 ottobre 2015*

Dal 30 novembre all’11 dicembre Parigi farà da sfondo alla  21esima Conferenza delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico (COP21), che cade in un momento cruciale, sebbene con prospettive poco promettenti. Questo evidenzia  la bozza del testo di negoziazione presentata dai due copresidenti della Conferenza. Secondo le critiche,  sembra più un documento  per la  negoziazione  di opportunità  economiche che per il clima (1), e che neanche include nelle negoziazioni gli obiettivi nazionali relativi alle emissioni post 2020.

Dopo 20 anni dall’inizio della Convenzione sul Clima –  il cui obiettivo  principale è la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra affinché si mantengano sotto la soglia di incremento massimo di temperatura  di  +2°C – non solo i progressi registrati sono minimi, ma vi sono addirittura segni di retrocessione,  come nel caso della discussione sopra le “responsabilità comuni, però differenziate”;  un tema chiave che ultimamente ha registrato attacchi sistematici da parte dei paesi  del Nord.

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