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Honduras-Difensore dell’ambiente assassinato nel Bajo Aguán

Difensore dell’ambiente assassinato nel Bajo Aguán
Organizzazioni territoriali esigono indagini serie, indipendenti e castigo per mandanti e autori materiali dell’omicidio

Tegucigalpa, 18 settembre 2024
(di Giorgio Trucchi | Rel UITA/LINyM) 

Ancora una volta, la terra del Bajo Aguán si macchia del sangue di coloro che la proteggono e la difendono. La notte del 14 settembre, Juan López, difensore dell’ambiente e attivista contro l’espansione dell’attività mineraria nella regione, è stato intercettato da sconosciuti in moto che lo hanno ucciso con diversi colpi di arma da fuoco.

López, regidor [1] del comune di Tocoa e membro del Comitato municipale per la difesa dei beni comuni e pubblici di questa località, si è battuto con forza contro le politiche e i progetti estrattivisti, in particolare contro il mega-progetto minerario di Inversiones Los Pinares (Grupo EMCO) / Inversiones Ecotek.
Almeno 32 persone sono state perseguite giudizialmente nel corso degli anni per aver difeso il territorio e i corsi d’acqua che attraversano il Parco Nazionale “Montaña de Botaderos”, la cui zona nucleo è minacciata dall’attività mineraria di Los Pinares.

In quest’area ci sono circa 34 fonti idriche che riforniscono città e comunità. I fiumi Guapinol e San Pedro, in particolare, stanno subendo impatti devastanti.

Le holding che gestiscono Inversiones Los Pinares sono controllate da Lenir Pérez Solís e Ana Facussé Madrid, figlia del latifondista Miguel Facussé Barjum, produttore di palma africana da poco deceduto, che nel passato è stato coinvolto in un grave conflitto agrario che è costata la vita a decine di contadini organizzati.
Repressione e minacce
Negli ultimi anni, Juan López è stato ripetutamente minacciato, tanto che la Commissione interamericana per i diritti umani (IACHR) ha deciso di concedergli misure cautelari, sistematicamente disattese dalle autorità honduregne.

Paradossalmente, è stato il difensore della terra e dei beni comuni a subire una sfacciata aggressione giudiziaria per i presunti reati di usurpazione, danneggiamento e incendio doloso aggravato, finendo in carcere per diversi mesi.

La lotta contro il mega-progetto minerario Los Pinares/Ecotek lo ha portato a scontrarsi con l’attuale sindaco di Tocoa, Adán Funez. In diverse occasioni, López e il Comitato municipale per la difesa dei beni comuni e pubblici di Tocoa ne hanno chiesto le dimissioni a causa del suo sostegno incondizionato all’azienda mineraria.

Lo hanno anche accusato di aver palesemente manipolato le assemblee organizzate per permettere alla popolazione di opporsi e frenare il mega-progetto, nonché di avere presunti legami con la criminalità organizzata.
Giustizia per Juan


La condanna dell’omicidio da parte di organizzazioni nazionali e internazionali è stata immediata, massiccia e unanime. La presidente Xiomara Castro ha ripudiato il crimine e ha ordinato di “utilizzare tutte le capacità delle forze dell’ordine per fare luce su questa tragedia e identificare i responsabili”.

Da parte sua, l’Ufficio dell’Alto commissariato delle nazioni unite per i diritti umani in Honduras ha condannato l’omicidio di Juan López e ha invitato lo Stato honduregno a “condurre un’indagine veloce e imparziale per identificare e punire i responsabili”.

Il crimine giunge pochi giorni dopo la presentazione dell’ultimo rapporto di Global Witness sugli omicidi di difensori della terra e dei beni comuni nel mondo, che ha confermato che l’Honduras resta la nazione più letale in termini di omicidi pro capite.
L’anno scorso, 18 difensori sono stati assassinati nella più totale impunità.
Il Bajo Aguán continua a sanguinare, una ferita che non si riesce a rimarginare. Continua a leggere

Nicaragua, modifiche del Codice di Procedura Penale: repressione o sovranità? Intervista a Fabrizio Casari

Nicaragua, modifiche del Codice di Procedura Penale: repressione o sovranità? Intervista a Fabrizio Casari
12.09.24 – Lorenzo Poli
È stata una settimana ricca di eventi in Nicaragua. Il governo sandinista è stato accusato di “indebite restrizioni” delle libertà religiose, di detenzioni arbitrarie, intimidazioni, maltrattamenti in carcere e attacchi contro le popolazioni indigene. Il 5 settembre il governo sandinista ha rilasciato – secondo fonti USA – 135 “prigionieri politici”. Aumenta la preoccupazione per la riforma del Codice di Procedura Penale approvata recentemente da Managua, mentre il governo sandinista torna a chiedere modifiche al Parlamento per potenziare il ruolo della Polizia Nazionale. Lontano dalla propaganda anti-sandinista e dalla narrazione mainstream occidentale, cerchiamo di capire cosa sta succedendo in Nicaragua e se le riforme attuali siano forme di “repressione codificata”, di “indebita restrizione” o se siano ben altro. Di questo ne parliamo con Fabrizio Casari, giornalista, analista internazionale, Direttore di Altrenotizie.org e profondo conoscitore di America Latina e di Nicaragua, dove ha vissuto per tre anni.

L’altro giorno l’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani ha registrato, da parte del governo di Ortega, “indebite restrizioni” delle libertà religiose. Accusa fondata – nel cattolicissimo Nicaragua – o accusa politica? 

E’ un’accusa politica, com’è tradizione di questo organismo nei confronti di Managua. Diciamo che la coincidenza di opinioni tra questa commissione Onu e il Dipartimento di Stato USA negli ultimi 17 anni è costante. Il Nicaragua non vive nessun restringimento delle libertà religiose, sarebbe sciocco anche solo pensarlo in un Paese con un tasso di religiosità intorno al 93%.
Ma poi quali sarebbero le indebite restrizioni? Aver smesso di finanziare con denaro pubblico la Chiesa? Chiedere alla gerarchia ecclesiale di rispettare le leggi vigenti? Di essere in regola con le norme che disciplinano le attività degli organismi – di ogni tipo – che esercitano attività pubbliche nel Paese? E per quale motivo si dovrebbero assegnare alla Chiesa cattolica prerogative diverse e superiori rispetto a quelle valide per tutti?

Ciò che allontana i fedeli dalla Chiesa è averla trasformata in un partito d’opposizione al governo, che anche dopo il 2018 – quando la gerarchia ecclesiale diresse il tentativo di colpo di Stato – ha proseguito nell’opera di proselitismo anti-sandinista. Ma se si vuole fare politica si fonda un partito con una sua personalità giuridica. Utilizzare il credo religioso e la buona fede dei credenti per organizzare fronti politici di natura eversiva non è permesso. Almeno non in Nicaragua.

Quello che sconcerta è, come sempre, la doppiezza del mainstream: in Ucraina Zelensky cancella la libertà di culto e proibisce la fede cristiano ortodossa, ma lì si tace e le accuse di persecuzione religiosa vanno al Nicaragua. In Venezuela, Usa e UE, difendono l’oppositore Gonzales, che negli anni ’80 dall’Ambasciata di Caracas a San Salvador, per conto della CIA, collaborò con gli “squadroni della morte” che uccisero Monsignor Romero, oltre a suore e gesuiti. Anche qui silenzio della Chiesa. Sembra che solo quando si deve parlare di Nicaragua l’ipocrisia e il doppiopesismo non possano mancare.

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Honduras, colpo di stato in corso

America Centrale
Honduras, colpo di stato in corso
Si intensificano le pressioni e la campagna mediatica contro
il governo di Xiomara Castro

Tegucigalpa, 10 settembre 2024 (di Giorgio Trucchi / LINyM) -.
Da quando si è insediata nel gennaio 2022, la presidente honduregna Xiomara Castro ha dovuto affrontare una violenta e sistematica campagna di pressione mediatica e politica, sia contro il suo governo e la sua persona, sia contro il partito – Libertà e  Rifondazione – che l’ha portata alla presidenza.
L’obiettivo è abbastanza ovvio: impedire a tutti i costi che questa forza politica, emersa dalla gente nelle strade nel pieno della lotta di resistenza contro il colpo di Stato civile-militare (2009) che ha rovesciato l’allora presidente Manuel Zelaya, continui a governare e a portare avanti l’imponente compito di “rifondare l’Honduras”.
Rifondare l’Honduras è stato il principale slogan del governo Castro. In breve, ciò significa attaccare e smantellare il corrotto apparato criminale di controllo politico, economico e sociale installato dalla narco-dittatura dei governi precedenti e radicato nei poteri statali.
Significa anche ridurre in modo sostanziale la disuguaglianza sociale che prevale nel Paese, il divario tra i più ricchi – una piccola manciata di famiglie e gruppi economici – e i più poveri – la stragrande maggioranza della popolazione – migliorando al contempo l’accesso delle persone ai servizi e ai diritti.
Un altro dei progetti promossi dall’attuale governo è quello di trasformare il modello economico e fiscale, attaccando la corruzione strutturale delle esenzioni legalizzate durante i 12 anni di narco-dittatura, che sono costate al popolo honduregno più di 21 milioni di dollari.
Un compito titanico che richiederebbe più mandati e una solida maggioranza parlamentare. Non stupisce quindi che il presidente parli del suo come di un “governo di transizione”, né che il possibile candidato di Libre per le elezioni del prossimo anno sia ancora una volta una donna capace e legata al popolo.
Campagna diffamatoria e attacco mediatico
La campagna diffamatoria e gli attacchi sistematici che si sono intensificati nelle ultime settimane, portando la presidente Castro ad allertare il mondo su un possibile “colpo di Stato in atto”, hanno, ovviamente, attori molteplici e diversificati.
I partiti tradizionali che hanno perso il potere, i piccoli partiti parassitari, la cosiddetta società civile e la dissidenza interna a Libre, entrambi in vendita al miglior offerente, nonché i gruppi di potere familiare che vedono a rischio gli affari, gli enormi profitti e la gestione del potere reale nel Paese.

Ma anche i mezzi di comunicazione corporativo e di massa, che sono diventati i cani da guardia di questi stessi gruppi e famiglie, così come i cosiddetti media “indipendenti” e vari intellettuali che, consapevolmente o inconsapevolmente, per ingenuità o opportunismo, finiscono per allinearsi ai poteri forti (con la benedizione delle fondazioni, delle agenzie, dei fondi privati e delle ONG che li finanziano).
Non possiamo nemmeno dimenticare il ruolo svolto dagli Stati Uniti dopo aver dovuto fare buon viso a cattivo gioco al trionfo elettorale di Xiomara Castro.
La nomina di Laura Dogu a nuovo ambasciatore e la sua nota predilezione per l’ingerenza negli affari politici del Paese, con tentativi palesemente destabilizzanti – Nicaragua docet – è stato il segno più evidente di quali sarebbero state le reali intenzioni di Washington.
Si intensifica la crisi
A sei mesi dalle elezioni primarie (9 marzo 2025) che definiranno i candidati delle principali forze politiche per le elezioni generali del prossimo anno, gli attacchi si sono intensificati.
Laura Dogu ha esordito con l’ennesima dichiarazione interventista, questa volta rimproverando il capo di Stato Maggiore delle Forze Armate honduregne e il ministro della Difesa per aver incontrato il suo omologo venezuelano[1] durante un evento sportivo militare.
In risposta a questo nuovo atto di ingerenza, la presidente Castro ha ordinato la risoluzione del trattato di estradizione con gli Stati Uniti.
La decisione è stata fortemente criticata dai principali media nazionali e dalle agenzie internazionali, che hanno accusato il governo di voler indebolire la lotta al narcotraffico e alla criminalità organizzata.
La crisi si è intensificata quando è trapelata l’esistenza di un primo video che mostra il deputato Carlos Zelaya, fratello dell’ex presidente Zelaya e cognato di Castro, mentre negozia con i narcotrafficanti per ottenere un sostegno finanziario per le elezioni del 2013.
Zelaya, che è anche segretario del Congresso nazionale, ha ammesso di aver partecipato all’incontro, pur negando di aver ricevuto denaro. Si è presentato spontaneamente in Procura per rilasciare una dichiarazione e ha annunciato le sue dimissioni dal parlamento per poter essere eventualmente indagato. Suo figlio, José Manuel Zelaya, ha fatto lo stesso, dimettendosi da ministro della Difesa.
La divulgazione di un secondo video, registrato con una telecamera nascosta nell’orologio di uno dei leader del cartello Los Cachiro – consegnato poi alla DEA ed estradato poi negli USA – in cui si parla di somme di denaro e di presunti piani di spartizione che comprenderebbero anche l’ex presidente Zelaya, ha ulteriormente aggravato la crisi.

Nessuno dei video mostra la consegna di denaro, né che l’ex presidente Zelaya fosse a conoscenza degli accordi presumibilmente raggiunti durante l’incontro.
L’escalation mediatica, accompagnata tra l’altro da comunicati e dichiarazioni di partiti dell’opposizione, dissidenti e gruppi della società civile che chiedevano addirittura le dimissioni di Castro, è stata bollata dalla presidente come parte di un nuovo tentativo di colpo di Stato.
Sia lei che l’ex presidente Zelaya hanno preso le distanze da qualsiasi trattativa “tra narcotrafficanti e politici”, così come dalla “condotta abominevole di un’altra persona, persino se è un familiare”.
Alla televisione nazionale, Xiomara Castro e il candidato alla presidenza e attuale ministro della Difesa Rixi Moncada hanno elencato 33 casi legati al traffico di droga, che coinvolgono altrettanti politici dei due partiti tradizionali – partito nazionale e partito liberale – già indagati o in corso di indagine negli Stati Uniti.
Altri sono i criminali
Negli ultimi giorni, settori dell’opposizione di ultradestra hanno indetto mobilitazioni e proteste contro il governo e il partito Libre, spesso utilizzando slogan e simboli (le fiaccole) tipici della resistenza contro il golpe del 2009 e della lotta alla narco-dittatura.
Appropriarsi di simboli e slogan, snaturarne il significato e creare false narrazioni fa parte della guerra di quinta generazione, che mira a manipolare la coscienza della popolazione e a porre fine a un progetto politico e sociale.
Sergio Rivera, professore universitario, storico attivista e militante del movimento sociale honduregno e attuale delegato del Poder Popular, ha approfondito la sua analisi della difficile situazione in Honduras.
“È un colpo di Stato in atto, intensificato dall’ala mediatica corporativa. In Honduras, il 94% dei media è di proprietà privata, vale a dire che la matrice mediatica è di proprietà delle imprese private”, ha affermato.
Rivera ha spiegato che il tentativo di golpe è entrato nella fase in cui si cerca di demoralizzare, delegittimare e screditare il governo di Xiomara Castro e il partito Libertà e Rifondazione.
“L’obiettivo è quello di arrivare a chiedere in parlamento l’impeachment della presidente. Allo stesso tempo, gli stessi settori che erano attivi prima del golpe del 2009 si sono già mobilitati di nuovo”, ha avvertito.
Si tratta di attori politici, ex ufficiali militari, giornalisti, intellettuali e opinionisti, membri della cosiddetta società civile, che sono determinati a creare nella popolazione l’immaginario di un partito di governo simile a tutti gli altri partiti.
“Il messaggio è che tutti i partiti sono uguali, che Libre non è quello che dice di essere, che la presidente ha interrotto le estradizioni per salvare i suoi parenti e che, per questo motivo, dovrebbe dimettersi. L’obiettivo è che non si continui con la trasformazione dell’Honduras e che si ritorni al passato”, ha detto Rivera.
Per il delegato del Poder Popular, organismo iscritto alla Segreteria di pianificazione strategica (SPE), gli Stati Uniti stanno giocando un ruolo strategico in questa crisi.
“Gli Stati Uniti e Laura Dogu come ambasciatrice stanno giocando lo stesso ruolo che hanno giocato in Nicaragua nel 2018, appoggiando settori dell’opposizione per dare un colpo mortale al processo di cambiamento.
L’ipocrisia degli Stati Uniti non ha limiti: criticano le relazioni del nostro governo con il Venezuela, si risentono del fatto che chiediamo la fine dell’embargo a Cuba, che nell’Osa sosteniamo il principio di non ingerenza negli affari interni di altri Paesi, che siamo solidali con il popolo palestinese e condanniamo il genocidio di Israele.
Tuttavia, qui hanno sostenuto una narco-dittatura, pur conoscendo i legami di Juan Orlando Hernández con il narcotraffico. Sono stati complici dei brogli elettorali e di tutto ciò che è accaduto negli ultimi 12 anni. Vogliono governi sottomessi che garantiscano i loro interessi egemonici”, ha detto Rivera.
Ha inoltre ricordato che per gli Stati Uniti, l’Honduras continua ad essere il Paese di maggiore importanza geostrategica della regione, dove si trova la base militare di Soto Cano (Palmerola), la più grande dell’America Centrale, e dove opera la Joint Task Force Bravo, parte del Comando Sud.
La vittoria di Xiomara Castro è stata senza dubbio un boccone amaro da ingoiare per l’amministrazione statunitense che, nonostante le dichiarazioni ufficiali di amicizia e cooperazione, non ha smesso un attimo di cospirare per riportare il Paese allo status quo precedente, possibilmente con un volto più presentabile agli occhi del mondo.
Finora né i partiti tradizionali né i partiti satellite sono stati in grado di presentare un candidato credibile.
“Dobbiamo riconoscere che la campagna mediatica è molto forte e sta cercando di posizionare Libre nella mente degli honduregni come un fallimento, un narco-partito, ma i settori che provengono dalla lotta di resistenza non si sono  demoralizzati.
Ci troviamo in una fase di riconfigurazione della lotta contro la matrice mediatica golpista. Non è facile, ma è il momento di andare avanti, di difendere questo progetto, di continuare a rifondare l’Honduras, mostrando al popolo tutte le cose buone che si stanno facendo. I golpisti non governeranno di nuovo”, ha concluso.[1] “È stato sorprendente per me vedere il ministro della Difesa e il capo dello Stato Maggiore seduti accanto a un trafficante di droga” Laura Dogu.
Fonte: LINyM
Foto: Cesario Padilla
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Lezioni dal Venezuela

Fabrizio Casari
Con il 51,20% dei voti, Nicolás Maduro Moro ha vinto le elezioni presidenziali venezuelane e si è confermato alla guida del Paese. Una vittoria fondamentale per Caracas, molto importante per l’America Latina nel suo complesso e significativa per lo scenario internazionale. La destra, che vedeva insieme conservatori e reazionari ed era rappresentata da una figura dal passato criminale e dal presente opaco, ha comunque ottenuto un risultato significativo, frutto del combinato disposto di una cultura politica annessionista storicamente presente nel Paese e di anni di difficoltà economiche causate dall’embargo occidentale.
L’affluenza alle urne del 59% degli aventi diritto spiega bene l’importanza della posta in gioco e la totale incompatibilità delle proposte in campo: da un lato il percorso chavista e bolivariano del Paese, che ne garantisce l’indipendenza e la sovranità nazionale; dall’altro il rientro nell’orbita statunitense, che ne delinea la dipendenza strategica da Washington.
La vittoria di Maduro appare ancora più importante a causa dell’impari competizione elettorale in Venezuela. Da una parte il PSUV e altre aree della sinistra e dall’altra la destra sostenuta dall’Occidente Collettivo, pesantemente coinvolto nella competizione elettorale. La continua ingerenza di americani e spagnoli, con il solito codazzo ansioso di ex fantocci latinoamericani, è stata la rappresentazione vacillante di uno scontro politico che era ed è tuttora molto serio. Uno scontro tra ipotesi opposte che ora, a urne chiuse e a conti fatti, lascia sul terreno alcune considerazioni e alcuni insegnamenti.
Il primo è per il popolo bolivariano, che attraverso anni di tenace resistenza ha mostrato al mondo come resistere e sconfiggere la più grande potenza economica, politica, militare e mediatica del mondo. Non ci sono abbastanza righe per descrivere il continuo e illimitato furto di beni venezuelani all’estero, il sequestro di aziende e risorse, depositi e titoli. Non c’è stato limite all’espressione di un blocco che non solo ha impedito l’accesso ai mercati internazionali sia per le importazioni che per le esportazioni, ma ha anche conosciuto dimensioni di extraterritorialità piegate solo dalla solidarietà di Paesi non soggetti agli ordini della Casa Bianca. Per sostenere questo assetto mefistofelico, si è scatenata l’insolenza delle accuse e l’infamia delle menzogne, con cui l’odio per la sovranità popolare è stato trasformato in “pressione democratica”. È questa l’essenza stessa della politica statunitense nei confronti del Venezuela, che si è infranta ieri, consumando un’altra sconfitta subita da un altro nemico e su un altro palcoscenico.
Una nuova sconfitta di Washington

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Honduras 

“Non dobbiamo mai dimenticare che siamo Resistenza”
A 15 anni dal golpe civile-militare, l’Honduras avanza sulla strada della rifondazione.
A Tegucigalpa si riuniscono la Celac Sociale e il Foro di Sao Paulo

 Tegucigalpa, 4 luglio 2024 (di Giorgio Trucchi | Rel UITA| LINyM) -.

Il 28 giugno 2009, l’Honduras si svegliava in mezzo a un colpo di stato civile militare. Ciò che i poteri de facto che imperversano nel Paese centroamericano e i militari non avevano però calcolato era la gigantesca reazione del popolo honduregno, che si è immediatamente dichiarato in resistenza, e l’incrollabile solidarietà internazionale.
Quel golpe assassino ha segnato una svolta nella storia recente dell’Honduras, facendo cadere la maschera dell’ipocrisia ed evidenziando, fuori da ogni ragionevole dubbio, chi stesse davvero con il popolo, con i settori più diseredati ed emarginati, con la democrazia e l’istituzionalità e chi, al contrario, stesse con i potenti e difendesse i loro interessi.
Il potere de facto di una destra recalcitrante, alleata occulta del più becero e pericoloso conservatorismo statunitense, ha usato il colpo di Stato per espandere ulteriormente e senza freni il modello neoliberale estrattivista .
Durante più di 12 anni hanno privatizzato e smantellato il settore pubblico, saccheggiato le casse dello Stato, militarizzato i territori, depredato i beni comuni e messo in vendita il Paese. Ma il popolo honduregno in resistenza non si è mai arreso, ha mostrato il petto, si è organizzato ed è sceso in piazza, instancabilmente, giorno dopo giorno, esigendo giustizia e il ripristino dell’ordine democratico.
Lotta senza tregua
Sono stati anni di lotta senza tregua, di repressione, di gas e manganelli, di armi assassine puntate contro il popolo, di corruzione e saccheggi, di brogli elettorali, di centinaia di vittime di una narco-dittatura spietata.
Solo la forza di un popolo organizzato, che ha saputo mettersi dalla parte giusta della storia, sostenuto da un’instancabile solidarietà internazionale, ha potuto porre fine a tanta impudenza, insediando la prima donna presidente dell’Honduras, che ora ha avviato la rifondazione del Paese.
L’Honduras e il suo popolo sono stati, e continuano a essere, un esempio di resilienza per il mondo, dimostrando che solo l’unità, per quanto difficile sia, del politico con il sociale può dare battaglia alle forze oscure e assassine, che accaparrano le ricchezze e gettano nella miseria la stragrande maggioranza della popolazione.
Il potere è nelle strade
Durante la cerimonia di commemorazione del 15° anniversario del colpo di Stato e le celebrazioni di 15 anni di resistenza, Bertha Oliva, coordinatrice del Comitato dei famigliari dei detenuti scomparsi in Honduras (Cofadeh), ha ricordato le centinaia di vittime della repressione omicida e ha invitato il popolo honduregno, e lo stesso governo, a non dimenticare mai che il “potere è nelle strade”.
Ha inoltre invitato il sistema giudiziario a rompere il velo dell’impunità che, a 15 anni dal colpo di Stato, ancora copre e protegge i responsabili e autori del golpe.

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Claudio Tricella

Ciao, Claudio Tricella.

Non si potranno cancellare i tanti momenti trascorsi assieme, a partire dal trionfo della Rivoluzione Popolare Sandinista. Ci hanno permesso di seguire per decenni il cammino della solidarietà col Nicaragua.

Sono state numerose, belle ed interessanti le iniziative svolte con te ed il gruppo del Centro di Solidarietà Internazionale Nord Est (Cernusco) per la diffusione dei libri, specie quelli di fiabe, come nella campagna “Nicaragua Deve Vivere”, finalizzata alla raccolta fondi a beneficio dell’infanzia: i “fanciulli”, come li definiva David Maria Turoldo, espressione citata nella prefazione del libro “Nicaragua Terra di Laghi e di Vulcani”.

Querido Claudio, sarai sempre nei nostri cuori, soprattutto per la tua umanità, generosità e gentilezza. 

Una gran bella persona che se ne va da questa Terra brutalizzata e martoriata. 

Che tu sia lassù in pace. 

Ci duole tantissimo la tua perdita.

Associazione Italia Nicaragua Milano

 

 

A Giulio Sanguineti

Quando una persona a noi cara ci lascia  è sempre doloroso e ci rattrista molto.
Giulio è stato sempre attivo e sostenitore simpatizzante del circolo di Rifondazione Comunista di Ne’  Val Graveglia (Genova)  fino a quando la sua salute glielo ha permesso.
Giulio era buono e generoso, si è distinto per la sua grande sensibilità, umanità e solidarietà.
Amava il Nicaragua e non solo. Nel 1989 è  partito con tanta carica ed entusiasmo per partecipare ad un  campo di lavoro a San Miguelito, un piccolo paesino nella zona del Río S. Juan.
Si innamorò  del luogo e della sua gente.

Buon viaggio Giulietto.

Coordinamento Associazione Italia Nicaragua

Nicaragua, Il governo sandinista consegna oltre 300 case nell’urbanizzazione di Caminos del Río 

Il governo sandinista consegna oltre 300 case nell’urbanizzazione di Caminos del Río
17 ottobre 2023
Nella terza consegna di case all’urbanizzazione Caminos del Río, situata all’estremo sud-est del distretto VII di Managua, 309 famiglie hanno ricevuto altrettante nuove case.
Il vice sindaco di Managua Enrique Armas ha consegnato le chiavi a famiglie che da molti anni desideravano avere un tetto decente dove vivere, un sogno che si è realizzato grazie all’emblematico Programma Bismarck Martínez portato avanti dal Governo Sandinista,guidato dal comandante Daniel Ortega e dalla vicepresidente del Nicaragua Compagna Rosario Murillo.”Con queste 309 case che stiamo consegnando, arriviamo ad un totale di 678 abitazioni, solo in questa urbanizzazione Caminos del Río del Programma Bismark Martínez”, ha detto Armas.Ha spiegato che le case consegnate dal Comune di Managua hanno una superficie edificata di 55 mq, su lotti basici di 150 mq, con strade, aree collettive, elettricità, acqua potabile, drenaggio per acque di scarico domestiche e meteoriche.Ha ricordato che Caminos del Río è la sesta urbanizzazione della capitale realizzata dal Buon Governo e ha precisato che “in questo luogo verranno costruite 5.276 abitazioni di interesse sociale, di cui 2.015 attraverso il Programma Bismarck Martínez e 3.261 attraverso il Programma Nuove Vittorie”.“Grazie a questi programmi sociali promossi dal Governo sandinista, sono già oltre 6.000 le famiglie beneficiarie nei 6 complessi abitativi esistenti nella capitale, oltre ai lotti di Villa Esperanza, con 2.605 lotti già consegnati”.L’emblematico Programma abitativo Bismarck Martínez è nato alla fine del 2018 come iniziativa locale. Anni dopo è diventato un progetto nazionale, grazie alla volontà politica del comandante Daniel e della vicepresidente Rosario Murillo di restituire diritti a migliaia di famiglie che non avevano un tetto proprio.Armas ha richiamato l’attenzione sul fatto che ogni famiglia che ha usufruito di questa terza consegna di case, pagherà 56 dollari al mese per 25 anni. Una delle famiglie beneficiarie ha chiesto le fosse permesso di pagare 97 dollari al mese, potendo così diventarne proprietaria in 14 anni, grazie all’impegno di tutto il nucleo famigliare.§
Articolo completo:

https://www.el19digital.com/articulos/ver/titulo:145701-gobierno-sandinista-entrega-mas-de-300-viviendas-en-urbanizacion-camino-del-rio?fbclid=IwAR3Oc0vT9MvRcmSMkYfq6xvouJazgCBjZ_6PgeWxJLl3fJq5hzfO7Ts2MLc

 

Argentina, Sergio Massa fa appello

Sergio Massa fa appello ad un Governo di Unità Nazionale
L’Argentina progressista punta a continuare a governare e all’integrazione latinoamericana
In disputa due modelli antagonistici
Sergio Ferrari
I settori popolari del Paese sudamericano respirano e si preparano a dare la seconda battaglia elettorale nel ballottaggio del prossimo 19 novembre. Il successo al primo turno di domenica 22 ottobre, ha reso chiaro un panorama politico che si era appannato con le elezioni primarie del 13 agosto scorso.
Il 22 ottobre il partito “Unione per la Patria”, capeggiato dall’attuale ministro per l’economia Sergio Massa, con quasi il 37% dei voti, ha superato di 7 punti il candidato Javier Milei, del partito “La Libertà Avanza”, ribaltando così, sostanzialmente, il risultato sfavorevole all’unione progressista nelle primarie di agosto. Entrambi i candidati si confronteranno al secondo turno elettorale il 19 novembre, momento in cui si deciderà chi sarà il prossimo presidente della nazione per il periodo 2023-2027. 

Due progetti totalmente opposti a confronto 

Quel giorno saranno in gioco nelle urne due progetti di nazione molto diversi. “Unione per la Patria”, costituita essenzialmente dal peronismo, da gruppi del socialismo e dai movimenti sociali, punta a rafforzare lo Stato e promuovere le politiche pubbliche sociali; rinegoziare, ma farla finita, con la dipendenza dal Fondo Monetario Internazionale; riprendere le bandiere della giustizia sociale; mantenere il lavoro su Memoria, Verità e Giustizia che promosse il kirchnerismo a partire dal 2003 e promuovere l’unità integratrice latinoamericana (principalmente in alleanza col Brasile di Lula da Silva), rinsaldando la visione strategica di integrazione e sviluppo subcontinentale e latinoamericano.

 Javier Milei, che ricevette per la sua campagna l’appoggio dell’estrema destra spagnola di Vox e di Bolsonaro del Brasile, annuncia come programma di governo lo smantellamento dello Stato; la liberalizzazione totale dell’economia; la privatizzazione delle imprese pubbliche; la dollarizzazione del Paese, così come il consolidamento delle alleanze internazionali solamente con gli Stati Uniti ed Israele. Il suo discorso negazionista presuppone che non vi furono brutalità né genocidio da parte della dittatura militare (1976-1983), si trattò soltanto di “eccessi individuali di alcuni militari”. Alza bandiere xenofobiche, omofobiche, pro-imperialistiche e svaluta ogni sforzo d’integrazione regionale latinoamericana.
Dati elettorali essenziali
Al primo turno del 22 ottobre Sergio Massa ottenne il 36.68 % dei voti, mentre Javier Milei il 29.98 %. Molto distaccata col 23.83 % la candidata Patricia Bullrich, del partito neoliberale “Insieme per il Cambiamento”. Juan Schiaretti, candidato di un altro settore peronista dell’interno del Paese, ottenne il 6.78%, mentre Myriam Bregman, della sinistra originariamente trotskista, il 2.70 %. Solo i due più votati parteciperanno al ballottaggio del 19 novembre prossimo. Si recò alle urne un 78 % degli aventi diritto, il che rappresenta una partecipazione bassa nella storia elettorale argentina.
Inoltre, frutto del rinnovamento parziale delle Camere dei Deputati e Senatori, il peronismo continuerà ad essere la prima minoranza in entrambe le camere e gli mancheranno solo due voti per poter contare sulla maggioranza assoluta al Senato.
Fatto rilevante di queste elezioni è stata la vittoria schiacciante di Axel Kicillof nella Provincia di Buenos Aires, dove continuerà ad essere governatore, posto che occupa dal 2019. Kicillof, col 45 % dei voti nel suo distretto, è stato il fattore essenziale della rimonta e dei risultati positivi di “Unione per la Patria”. A Buenos Aires vive il 38 % della popolazione totale dell’Argentina; è la provincia più importante in quanto a produzione, concentra il 37 % dell’elettorato nazionale. La bravura del dirigente peronista di appena 52 anni – che aumentò di quasi 10 punti il risultato delle primarie di agosto – costituisce un pilastro essenziale del successo nazionale di Sergio Massa.

 

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